A Carnevale è lecito impazzire

Come è possibile passare dalla festa della nascita di Gesù e andare verso la pasqua, ricordo della sua morte, facendo sosta in una festa totalmente pagana, con tanta leggerezza? Perplesso, ma è quel che succede puntualmente ogni anno e che trova come giustificazione il semplice divertimento. Purtroppo, uno degli ostacoli nel confronto con i non credenti è la mancanza di conoscenza biblica. La fede è un sentito dire, si è sempre fatto così. La Bibbia dichiara: «Se dimorate nella mia parola siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni 8:31-32). Questo verso è una chiave importante per la vita di chiunque legge la Scrittura. Cristo è sì la verità di Dio, e questa ci è annunciata attraverso i testi della Scrittura. Conoscere la Parola, la verità ci dà la libertà di poter affrontare qualsiasi argomento. Chi ama il Signore, ha fede nel proprio cuore e legge la bibbia, deve anche sapersi guardare intorno per valutare meglio quanto accade alla propria vita. La verità della Parola ci ha anche donato la libertà di poter affrontare qualsiasi argomento, con pacatezza e senza suscitare inutili discussioni, nella speranza che il nostro ragionare possa guidare tanti altri alla stessa verità. Con questo animo provo a parlare di una festa che, nel suo periodo di celebrazione, trova sempre particolare risalto nei media, coinvolge grandi e piccoli con le maschere e i coriandoli, vuoi anche per le ricette che trovano spazio nei menù e sulle tavole, vuoi perché ad essa sono legati eventi e manifestazioni un po’ ovunque: il Carnevale.

Origini

La festa del Carnevale è collegata ai Saturnali ed ai Baccanali, festività tipiche dei nostri avi, i romani. Secondo una ricerca storica sarebbe possibile individuare tracce sulla festività, come di un vero e proprio rito religioso, risalendo ai tempi degli Egiziani. All’epoca dei faraoni, in alcune situazioni il popolo, mascherato, intonando inni e lodi, accompagnava una sfilata di buoi che venivano sacrificati in onore del dio Nilo. In ordine cronologico, prima dei Romani troviamo i Greci, i quali avevano tra le tante divinità il dio del vino Dionisio al quale era dedicato un particolare culto. Il Dionisio greco, nel mondo romano, divenne il dio Bacco, e la festa fu ripresa nei Baccanali e Saturnali.

I Baccanali

Cosi detti proprio perché in onore del dio Bacco. I festeggiamenti si svolgevano lungo le strade della città e prevedevano l’uso di maschere, tra fiumi di vino e danze. I Romani si lasciavano prendere dall’euforia durante i Baccanali. Ciò che li contrassegnava era la parte sessuale, difatti la festa era accompagnata da riti orgiastici. Sotto l’effetto del vino si perdeva il controllo della propria persona, cadendo in trasgressioni immorali e sessuali. Era considerato lecito trasgredire ogni norma, trascendere in pratiche orgiastiche e giochi immorali, dando libero sfogo alle passioni umane. Venivano a cadere i vincoli matrimoniali e familiari e, dietro l’uso di una maschera, una persona poteva unirsi sessualmente a chiunque altra senza sapere chi fosse. Era una festa in cui si dava sfogo alle passioni umane. Solo in un secondo momento, questa fu indirizzata ad un aspetto agricolo, ossia divenne momento propiziatorio prima della semina, con invocazione agli dei affinché potessero provvedere abbondanti raccolti. Il culto al dio Bacco, proprio per il suo aspetto licenzioso, aveva un grande seguito. Coloro che lo rappresentavano, i sacerdoti preposti allo stesso, assunsero nel tempo una certa importanza nelle istituzioni. Questa rilevanza fu stroncata dal Senato nel 186 a.C. con l’abrogazione della festa, poiché coloro che praticavano il rito alla divinità non volevano partecipare agli altri culti dell’impero romano e dell’imperatore.

I Saturnali

La festa dei Saturnali era dedicata al dio Saturno. Lo svolgimento era cadenzato nei mesi di marzo e di dicembre e si svolgevano nell’arco di circa sette giorni. Successivamente la durata fu portata a quindici giorni poiché era considerata una festa con grandi attrattive e fortemente licenziosa. Il suo svolgimento corrisponderebbe, oggi, al periodo precedente la festività del natale, ossia dal 17 al 23 di dicembre. La festa era legata alla terra, alla semina. Essendo Saturno il padre di tutti gli dei, una festa in suo onore non poteva non essere dedicata alla fecondità ed alla speranza della vita agricola. Siamo in una società legata alla terra, la quale se non dava il suo frutto recava carestia e ciò avrebbe comportato la morte per gran parte delle persone. Per questo una carestia era vista come una sorta di maledizione da parte delle divinità. La festa dei Saturnali veniva aperta a Roma con un sacrificio solenne, cui seguiva un generoso banchetto pubblico durante il quale gli schiavi diventavano padroni e viceversa. Il “Re della Festa”, in genere uno schiavo, eletto dal popolo, aveva ampi poteri in quell’arco di tempo: organizzava i giochi nelle piazze, uno dei quali era lo spettacolo dei gladiatori che aveva grande attrattiva nel pubblico. Oltre a questo, vi erano festeggiamenti di vario genere (gioco d’azzardo, allegre bevute, scambio di doni più o meno simbolici), che spesso sfociavano in eccessi.Alla semina dei campi seguivano dei riti propiziatori per ottenere il favore degli dei sotterranei e degli spiriti di familiari defunti, affinché sprigionassero tutte le forze della fecondità. Per risvegliare tali spiriti, che si pensava fossero nella terra o sottoterra, i riti si svolgevano mascherati facendo loro delle offerte. Il mascheramento serviva a far si che lo spirito non riconoscesse la persona. Era anche diffusa la credenza che indossando una maschera si ricevesse il potere di scacciare gli spiriti avversi. Questo perché se gli spiriti venivano invocati per fecondare la terra dovevano, però, rimanere lontani dalle persone poiché si aveva timore di un contatto con tali entità.

Secondo alcuni, i travestimenti carnevaleschi erano in origine “raffigurazioni viventi” di esseri demoniaci. Le maschere erano rappresentate con sembianze brutte e spaventose al fine di cacciare via spiriti considerati altrettanto di sgradevole aspetto.In memoria dell’età dell’oro instaurata da Saturno, anche in questa celebrazione vi era la pratica di sciogliere i vincoli servili, così che per tutta la sua durata tutti gli uomini erano uguali. In particolare, era consentito lo scambio di ruoli attraverso lo scambio degli abiti. Si consolidò, così, la pratica secondo la quale il servo iniziò a travestirsi da padrone e che questi si travestisse da servo; l’uomo si travestiva da donna e viceversa, diffondendosi la pratica di vestire i panni altrui e manifestandosi la pratica dello scambio dei ruoli. Tutti, senza distinzione di classe sociale, potevano bere e banchettare assieme purché il tutto avvenisse dietro le maschere proprio per giustificare la licenziosità ed il libertinaggio. Era anche lecito schernire i proprietari ed i governanti e la maschera serviva a coprire coloro che si rendevano artefici di tali comportamenti.

Il Cristianesimo

Con l’avvento del cristianesimo questi aspetti andarono attenuandosi e spegnendosi, perché la religione cristiana cercò di mitigarne il contenuto dando loro un altro significato. Con l’imperatore Costantino il cristianesimo era diventato la religione dell’Impero ed aveva portato un sentore di libertà. Libertà che era, prima di allora, a rischio da chi contrastava la fede cristiana. Si narra di un legionario romano, un certo Antonino, convertito alla fede cristiana, che nel 303 d.C. fu eletto re del Carnevale da chi voleva contrastarlo nella sua scelta spirituale. Il legionario si rifiutò di dirigere i festeggiamenti, perché non riteneva che una tale realtà potesse sposare la sua fede. Il rifiuto gli costò il martirio, difatti, la difesa della sua fede lo condusse alla morte. Quando Costantino dichiarò il cristianesimo religione dell’impero bandì il Carnevale perché la riteneva una festività pagana.

Dopo Costantino

Così come la storia ci insegna, tante realtà pur se messe da parte, se non sono estirpate dal cuore delle persone, dall’animo della gente, una volta spentosi il fuoco possono risbocciare. Difatti morto Costantino la festa ritornò in auge. Durante il Tardo Medioevo il travestimento si diffuse nei carnevali delle città. In quelle sedi il mascherarsi permetteva lo scambio di ruoli, il burlarsi di figure gerarchiche, le caricature di vizi o malcostumi con quelle stesse maschere che sono poi diventate simbolo di città e di debolezze umane. Nel Rinascimento i festeggiamenti, in occasione del Carnevale, furono introdotti anche nelle corti europee ed assunsero forme più raffinate diventando da festa popolana a festa di elite riservata a poche persone importanti. Alla celebrazione si cominciò ad associare il teatro e l’arte in generale, ovvero la danza e la musica. Con gli attori della Commedia dell’Arte, alla fine del ’500, alcuni dei tipici personaggi carnevaleschi prendono forma e vengono caratterizzati nel linguaggio e nella gestualità. Nascono “le maschere” che penetrano nella tradizione collettiva e ci accompagnano ancora oggi. La festa carnevalesca raggiunse il massimo splendore nel XVI secolo, nelle strade della Firenze di Lorenzo dei Medici. Danze, lunghe sfilate di carri allegorici e costumi sfarzosi segnano una svolta di questa festa, amatissima nella culla rinascimentale.

Nel Carnevale si esalta la carne (parte corporale), da cui deriva anche l’espressione: Carnem Valere, ovvero elevare la carne, dove tutto è concesso. La Chiesa Cattolica scese ad un compromesso: poteva partecipare al Carnevale chi fosse poi disposto ad osservare un periodo di digiuno di quaranta giorni prima di Pasqua. Da qui il motto “Carnem Levare”, cioè dire addio alla carne nel periodo della Quaresima. Tutto ciò cozzava con il principio della festa, la quale propugnava il principio del “Semel in anno licet insanire”, ossia “una volta l’anno è lecito festeggiare”. La locuzione latina tradotta letteralmente, significa una volta l’anno è lecito impazzire (“uscire da sé stessi”).Questa locuzione è legata ad una sorta di rito collettivo che ricorre in molte culture, soprattutto occidentali. In un ben definito periodo di ogni anno tutti sono autorizzati a non rispettare le convenzioni religiose e sociali, a comportarsi quasi come se fossero altre persone. Si tratta di un rito liberatorio che permette ad una comunità di prepararsi in modo gioioso all’adempimento dei propri normali doveri sociali. Ancora oggi si dice: “A Carnevale ogni scherzo vale”, ed è rimasto il concetto della festa legato a questa sorta di permissivismo. Molte persone hanno questo desiderio sfrenato di impazzire di uscire fuori dagli schemi, di fare quello che non farebbero nei restanti giorni dell’anno. Sarà forse perché non si sentono liberi? Forse si sentono schiavi di qualcosa o di qualcuno e non hanno durante l’anno il coraggio e la possibilità di vivere una libertà morale o spirituale? La libertà che ci è donata dalla verità del Vangelo non è di quelle legata ai costumi, bensì è legata al rispetto dell’altro, all’ascolto del prossimo, nel confronto con gli altri.

Quaresima

La Quaresima è un periodo purificatorio di quaranta giorni, in cui si fa penitenza in attesa di Pasqua. Tra le penitenze vi è il divieto di mangiare la carne dal giorno precedente la Quaresima (40 giorni). Il martedì grasso, quale ultimo giorno di celebrazione, nonché antecedente il giorno in cui inizia la Quaresima, divenne il giorno dell’abbuffata, in cui si mangiava tutta la carne che non sarebbe stata poi possibile consumare nei successivi quaranta giorni. Bisogna riempirsi di tutta la carne che poi veniva tolta. Nei festeggiamenti cui assistiamo ancora oggi è possibile notare che si fa coincidere la morte del re Carnevale con l’arrivo di un soggetto femminile, ovvero Quaresima. Ogni lettore della bibbia, anche nel rispetto delle persone legate a questa tradizione, avrebbe difficoltà a comprendere questo abbinamento con la privazione di un qualcosa.

“Or lo Spirito dice espressamente che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede, dando ascolto a spiriti seduttori ed a dottrine di demoni per l’ipocrisia di bugiardi macchiati nella propria coscienza, i quali vieteranno di maritarsi, di astenersi da cibi che Dio ha creato affinché siano presi con rendimento di grazie da color che credono ed hanno conosciuto la verità. Infatti tutto ciò che Dio ha creato è buono e nulla è da rigettare quando usato con rendimento di grazie…”.

1 Timoteo 4:1-4

I cibi sono stati creati da Dio e noi siamo invitati a prenderne con rendimento di grazie. Come è possibile che taluni vietino di prendere certi cibi? In preparazione di un’altra festa bisogna compiere uno sforzo di rinuncia, di astensione di talune vivande. La Scrittura dice che nulla è da rigettare. La santificazione dell’individuo non si raggiunge attraverso l’osservanza di una lista di cibi permessi e vietati. Quanto agli amici ebrei ed alla loro ritualità dei cibi, più che di privazione, per loro si parla di una sorta di dieta presente nel Pentateuco di Mosè.

Quale evento religioso

L’apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinzi scriveva: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il fedele e l’infedele? E che armonia c’è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come disse Dio: “Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (2Corinzi 6:14-16). Quando la chiesa vuole mettere un abito nuovo su di un qualcosa di marcio, corrotto e pagano si commette qualcosa di disonesto. È preferibile che continui a predicare la verità, impegnandosi anche a descrivere le altre situazioni, senza comunque imporre nulla e lasciando che ciascuno scelga indipendentemente. Se c’è chi vuole festeggiare il Carnevale è libero di farlo. Però come potrà definirsi cristiano? Siamo di fronte ad una ricorrenza che con la cristianità non ha nessun legame, ecco perché Paolo chiedeva quale legame ci fosse tra la giustizia e l’iniquità, quale comunione tra la luce e le tenebre. Non si può fare un miscuglio delle cose, poiché questo comporterebbe solo confusione e dove vi è confusione non c’è libertà. Dove c’è la verità, invece, c’è la libertà.

I piatti

Ogni festività ha le sue tradizioni culinarie: esiste una vasta tradizione di cibi carnevaleschi ormai diffusa in tutta Italia; tante ghiotte specialità regionali divenute l’emblema della festa più colorata dell’anno. Ogni regione vanta ricette gastronomiche particolari e secolari, ma il desiderio di trasgressione vede al primo posto i dolci fritti. Le chiacchiere si ritrovano in tutt’Italia, sebbene con nomi diversi e varianti: in Friuli si chiamano Crostoli, in Emilia Sfrappole o Frappe, in Veneto Galani, nelle Marche Frappe, Cenci in Toscana, Chiacchiere in Campania, Bugie in Piemonte e in Liguria. La tradizione delle frappe probabilmente risale a quella delle frictilia, dei dolci fritti nel grasso che nell’antica Roma venivano preparati proprio durante il periodo dell’odierno Carnevale. La cicerchiata è una specialità tipica del Centro Italia (Abruzzo, Umbria, Marche, Lazio): dall’impasto base si ricavano tante piccole palline che fritte e legate con il miele danno origine a questo dolce. Nel napoletano gli struffoli sono gli indiscussi protagonisti del Carnevale. Espressione dell’allegria e dell’estro partenopei, vengono arricchiti con confettini multicolore. Tipiche della gastronomia friulana durante il periodo di carnevalesco sono le castagnole. Il Migliaccio, parola dai significati diversi secondo le regioni, ma dall’origine comune. Deriva infatti dal miglio, la cui farina era un tempo usata per numerose preparazioni oggi sostituita con quella di granturco. È un dolce antico, tramandato ai giorni nostri, da chi ne ha apprezzato sempre il gradevole sapore e la facilità di preparazione. Il migliaccio è principalmente di origine napoletana, anche se ne esistono alcune versioni di altre regioni italiane. La ricetta originale, di origine contadina, prevedeva un ingrediente che attualmente è in disuso, parlo del sangue di maiale. A quei tempi, poteva anche avere un suo perché, c’erano meno soldi e meno possibilità, in campagna e in fattoria si mangiava quello che si produceva e il detto “del maiale non si butta via niente” è anche la conferma di questa verità.Secondo alcuni è una variente della torta di Apicio, di epoca romana. Marco Gavio Apicio è stato un gastronomo dell’antica Roma, menzionato da Seneca e Plinio. A Roma c’era un piatto cucinato in maniera simile alla lasagna, detto lasana o lasanum che significa recipiente, descritto nel libro L’arte culinaria di Apicio e forse il piatto preferito da Cicerone perché, essendo morbido, poteva mangiarlo senza difficoltà nonostante l’età avanzata. I romani tagliavano la pasta a strisce molto larghe e la condivano con legumi e formaggio.

Come si deve rapportare il credente ai cibi di una festa pagana?

Non siamo più nell’Impero Romano, oggi chi prepara tali ricette lo fa per consuetudine. Preparare una cibo non significa sempre festeggiare la ricorrenza, alcuni piatti può capitare che vengano preparati in quel periodo poiché è più facile reperire gli ingredienti. Il credente dovrebbe comportarsi “come si addice ai santi”, secondo l’epistola di Paolo agli Efesini. Gesù, attaccato dai farisei in merito al lavarsi le mani prima di mangiare, rispondeva loro: «e neppure voi avete ancora capito? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca viene espulso e se ne va nella fogna, ma le cose che escono dalla bocca procedono dal cuore sono esse che contaminano l’uomo. Poiché dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze, maldicenze. Queste sono le cose che contaminano l’uomo» (Matteo 15:16-20). Attenzione a chiamare peccato una pietanza! Il peccato è un’azione che reca danno a sé stessi o al prossimo. Mangiare chiacchiere, migliaccio o altre pietanze, non è altro che un procedimento fisiologico di cui non ne rimane traccia alcuna. È ciò che esce dalla bocca a cui bisogna fare attenzione. Sono le nostre azioni verso Dio o verso il prossimo a contare!Ciò non vuol dire che quando ci sono delle festività ci tuffiamo sui cibi. Bisogna essere equilibrati e moderati, sapendo discernere le situazioni: se ci trova ad essere invitato da altri od in casa di altri non possiamo raccontare, a chi abbiamo di fronte, la storia della pietanza o della festa. Sappiamo che ciò che mangiamo non contamina la nostra spiritualità, anzi quella può essere l’occasione di condivisione della fede. Tale momento, però, non deve mai diventare un momento in cui si impone agli altri qualcosa. Questa riflessione ha avuto inizio col verso “Conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi”. La verità che noi abbiamo conosciuto non può rendere schiavi altri. Così come ha liberato noi, farà lo stesso per gli altri, ma senza alcuna imposizione, bensì con il confronto, il dialogo e la riflessione. L’apostolo Pietro ci invitata così: “Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto, e avendo la coscienza pulita; affinché quando sparlano di voi, rimangano svergognati quelli che calunniano la vostra buona condotta in Cristo” (1 Pietro 3:15-16).Interessante è l’inciso in cui si dice di dover rendere sempre conto della speranza che è in noi a quelli che ci chiedono spiegazioni! il nostro modo di farlo deve essere con mansuetudine e rispetto. Questi versi dovrebbero essere un punto fermo in ogni forma di evangelizzazione! L’evangelo va presentato senza imposizioni. Siamo chiamati a vivere la parola con integrità.

Le feste come il Carnevale coinvolgono in modo particolare i bambini. Se agli adulti non si può imporre nulla, ancor meno si può dire ai bambini, i quali non hanno elaborazione mentale per comprendere certe cose. Ciò che va inculcato al fanciullo è la verità! È noto che la pratica del travestimento fa parte di una fase del loro sviluppo. Tutti bambini cercano l’emozione di vestire i panni di qualcun altro. Questi sono soliti indossare calzature o abbigliamento dei propri genitori, tutti noi l’abbiamo fatto! I bambini non devono vivere il dramma di essere separati dagli altri, ma dobbiamo aver rispetto degli altri ed educare i nostri piccoli al confronto. Ciò che si può fare, per evitare che i nostri figli festeggino il Carnevale, è ricorrere ad azioni alternative. In questo molto dipende dalle scuole che frequentano: un genitore responsabile non porterà via il bambino per evitare che faccia determinate cose, ma dovrà confrontarsi, quale persona responsabile della creatura che Dio gli ha donato, con gli insegnanti parlando loro della propria fede, cercando un’alternativa pedagogica per non recare delle mancanze nello sviluppo del bambino. Questo non significa far festeggiare loro il Carnevale, ma custodire i piccoli che il Signore ci ha donato. Una scuola attenta allo sviluppo pedagogico saprà inserire nei suoi programmi attività didattiche al di là del calendario religioso (cattolico) del nostro Paese.

Quanto alla Quaresima, periodo di preparazione alla Pasqua, il credente la dovrebbe vivere tutto l’anno, ma non come astensione dalla carne, poiché la santificazione è un cammino con il Signore. È il cammino del cristianesimo che ci porta ad allontanarci da ogni forma di peccato ed ogni apparenza di male. Dinanzi al carnem valere, di fronte all’ipotesi del carnem levare io propongo “spiritus valere”. L’epistola agli efesini ci invita a camminare in questi termini: “come si addice ai santi, né fornicazione ne impurità né avarizia sia neppur nominata tra voi; né oscenità né parole sciocche o volgari che sono sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento[…] Nessuno vi seduca con vani ragionamenti, infatti è per queste cose l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli[…]In passato eravate tenebre ma ora siete luce nel Signore; comportatevi come figli di luce[…]E non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, piuttosto denunciatele[…]Perciò non agite con leggerezza ma cercate di capire quale sia la volontà del Signore” (Efesini 5:3-17).

Ritengo che la Scrittura ci chiami alla Verità e ad essere figli di luce e a comportarci come tali. Prego affinché lo Spirito santo soffi su queste parole e le conduca al cuore e nella vita di tanti altri.

Puoi ascoltare su questo argomento il mio seminario “Il Carnevale”

Foto di dlritter, www.freeimages.com

Elpidio Pezzella | elpidiopezzella.org

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