Dieci anni fa, il 26 ottobre 2014, a Lisle-sur-Tarn moriva tragicamente, a soli 21 anni, il giovane botanico di Tolosa Rémi Fraisse. A ucciderlo l’esplosione di una granata OF-F1 sparata dalla gendarmeria.
Rémi partecipava a una manifestazione contro la diga (barrage) di Sivens (dal nome della foresta circostante) in Occitania ed era il primo ambientalista a essere ucciso dalle forze dell’ordine in Francia dal 1977, quando, il 31 luglio, l’insegnante e militante antinucleare Vital Michalon perse la vita (ugualmente per una granata) a Creys-Malville durante una manifestazione contro il Superphénix.
Con la morte di Rémie, nel giro di qualche ora il cantiere dello sbarramento di Sivens venne provvisoriamente chiuso. Anche se ormai la zona umida di Testet era irreparabilmente distrutta.
Ancora nel 2009, il consiglio dipartimentale del Tarn aveva deciso per la realizzazione di un bacino artificiale di 1,5 milioni di metri cubi d’acqua (costo previsto di nove milioni di euro).
Per quanto devastante dal punto di vista ambientale, il progetto era stato presentato e inaugurato come “d’utilité publique”. In realtà doveva costituire una consistente riserva di acqua per l’irrigazione delle coltivazioni di cereali (principalmente mais) utilizzati per l’alimentazione degli animali da allevamento. Secondo un rapporto di esperti, avrebbe rifornito solamente una trentina di aziende dato che la maggioranza delle imprese agricole e degli allevamenti in zona erano già autosufficienti. Inoltre, segnalavano sempre gli esperti, non si era nemmeno tentato di cercare soluzioni alternative.
Purtroppo sui 36 ettari sottoposti al progetto si trovava una zona umida boscosa in cui erano state identificate 94 specie protette. Per ben due volte il Conseil supérieur de protection de la nature (CNPN) aveva espresso la propria contrarietà, giudicando le previste misure di compensazione “irrealizzabili, inadeguate o troppo ipotetiche”.
Le prime contestazioni da parte di ambientalisti, associazioni e parte dei contadini locali (riuniti nel “collectif pour la sauvegarde de la zone humide du Testet”) risalivano al 2012. Esprimendosi con petizioni, manifestazioni, catene-umane. Ma invano, dato che nel 2013 la préfecture del Tarn autorizzava il progetto.
Mentre prendeva il via l’azione di disboscamento, una parte degli oppositori arrivava all’occupazione de La Métairie Neuve, una antica fattoria a circa tre chilometri dalla diga prevista.
Nonostante la sospensione del progetto nel 2015 (per intervento di Ségoléne Royal, ministro dell’Ecologia) il danno risultava irreparabile e gran parte delle specie rare precedentemente qui identificate ormai irreperibili. Veniva comunque mantenuta una occupazione permanente (sostanzialmente una ZAD), se pur da un esiguo numero di militanti riuniti nel collettivo “Tant qu’il y aura des bouilles” (in riferimento alle “bolle”, le risorgive). Come a Notre-Dame-des-Landes, anche qui gli zadistes si arrampicavano sugli alberi o scavavano nel sottosuolo per proteggere la foresta.
Ma l’intervento delle forze dell’ordine andava via via inasprendosi prefigurando quanto in epoca successiva sarebbe avvenuto con la A69. Si arrivava a una serie di espulsioni “muscolari” e alla distruzione degli accampamenti (con vari casi di trauma cranico, punti di sutura, ferite da flashball o da lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo).
A questo si aggiungevano le azioni squadristiche delle “milices pro-barrage” (almeno in parte allevatori di bestiame, presumibilmente) con taglio di pneumatici, parabrezza sfondati, accampamenti saccheggiati, materiale rubato, azioni intimidatorie…
Determinato a “ débloquer ce pays” (come aveva dichiarato di fronte a una platea di allevatori), il primo ministro Manuel Valls ammetteva apertamente che il governo non poteva permettersi un’altro cedimento come si andava profilando a Notre-Dame-des-Landes.
Per salvare il salvabile, il 25 e il 26 ottobre 2014 circa tremila persone tornavano a manifestare pacificamente. Tuttavia, vuoi per la presenza massiccia dei reparti mobili, vuoi per l’esasperazione, nella notte scoppiavano i primi incidenti. Tra le una e le due del mattino i gendarmi lanciavano le prime “granate offensive”. Una esplodeva sulla schiena del giovane Rémi Fraisse che moriva sul colpo. Collaboratore di France Nature Environnement, nella sua città, Tolosa, si era occupato sia di protezione ambientale che di studio della biodiversità urbana.
In conclusione, l’8 gennaio 2018 i giudici istruttori del tribunale di Tolosa hanno emesso un verdetto di non luogo a procedere nei confronti del gendarme responsabile.
Gianni Sartori
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