Le sue porte sono rimaste chiuse per tutto il giorno. Cosa mai successa dal 1967, quando dopo la Guerra dei sei giorni Israele ha assunto il controllo anche di questo angolo incandescente di Gerusalemme. È rimasto deserto, ieri, l’Haram al Sharif, il «recinto sacro» come chiamano i musulmani la spianata su cui sorgono la moschea di al Aqsa e la cupola della Roccia, i loro luoghi più sacri nella Città Santa. Spianata che – contemporaneamente – per gli ebrei è il Monte del Tempio, il luogo dove sorgeva il maestoso santuario fatto costruire da Erode e di cui – dopo la distruzione operata dai romani nel 70 d.C. – è rimasto solo quella che allora era l’insignificante base di un contrafforte e oggi è invece il Muro del Pianto, veneratissimo dagli ebrei.
Proprio l’intreccio affascinante e insieme terribile di Gerusalemme è tornato a farsi incandescente in questi ultimi giorni. Culminati nella pericolosissima escalation delle ultime ore: mercoledì sera un palestinese, proprio nel cuore di Gerusalemme, ha sparato a Yehuda Glick, uno dei leader dell’ultradestra ebraica, che rivendica il diritto per gli ebrei il diritto di andare a pregare sulla spianata e dice in giro senza troppi misteri che loro lì intendono ricostruire il Tempio. Ferito gravemente, Glick si trova ora in ospedale dove pare non sia in pericolo di vita. Nel frattempo – però – ieri all’alba, in uno dei quartieri arabi di Gerusalemme Est, la polizia israeliana ha liquidato la questione a modo suo: il presunto attentatore è rimasto ucciso in un conflitto a fuoco che aveva molto l’aria di un’esecuzione mirata. E per non saper né leggere né scrivere ha decretato, appunto, la serrata della moschea di al Aqsa, dove peraltro – oltre ai musulmani – anche i gruppi ebraici ultranazionalisti, subito dopo l’attentato a Glick, avevano promesso una visita non proprio amichevole e devota.
È un venerdì – dunque – ad altissima tensione quello che si annuncia per oggi a Gerusalemme. Anche perché nel frattempo il presidente palestinese Abu Mazen ha riposto nell’armadio la divisa da pompiere, dichiarando che «la chiusura di al Aqsa è una dichiarazione di guerra al popolo palestinese». E il suo partito – Fatah – ha proclamato per oggi una «giornata della collera per difendere Gerusalemme». Scenario e parole che assomigliano terribilmente a quelle che segnarono l’inizio della seconda intifada, nel settembre 2000.
La polizia israeliana ha annunciato che questa mattina l’Haram al Sharif riaprirà; del resto tenerlo chiuso durante un venerdì avrebbe scatenato il finimondo nell’intera galassia islamica. Varranno comunque le «consuete» restrizioni dei giorni caldi a Gerusalemme: divieto di ingresso per gli uomini sotto i 50 anni. Escludendo che i palestinesi la prendano bene, c’è da mettere in conto scontri che del resto nella Città Santa vanno avanti ormai da luglio, quando dopo l’uccisione dei tre ragazzi della yeshivà rapiti in Cisgiordania ci furono le violenze di segno opposto, costate la vita a un adolescente arabo a Gerusalemme Est.
Proprio questo lasciare scivolare sempre più in basso gli opposti estremismi nella loro catena di violenze reciproche è l’aspetto più inquietante della situazione. Non si può, infatti, non registrare come gli ambienti a cui appartiene Glick siano gli stessi che negli ultimi anni a Gerusalemme hanno alimentato quel clima di intolleranza profonda che ha dato vita anche alle profanazioni di chiese e cimiteri cristiani, oltre che musulmani. È l’ambiente di quelle scuole rabbiniche che educano i giovani ultra ortodossi a un odio non meno pericoloso rispetto a quello predicato dalle fazioni islamiste palestinesi, come più volte denunciato anche dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal.
È dunque l’avanzare deciso degli oltranzismi da entrambe le parti l’incubo di oggi nella Città Santa. Con quelle porte sbarrate che diventano un simbolo potente di una Gerusalemme che sta chiudendo ogni ingresso a Dio prima ancora che agli uomini. E in questo modo decide di avviarsi di nuovo – oggi? tra un mese? tra un anno? – a cadere nell’abisso della violenza. Serve un inversione di rotta per fermare questo precipizio; prese di posizione senza ipocrisie e false amicizie. Parole e gesti chiari contro chi non sa accettare che esiste anche una Gerusalemme dell’altro. È il luogo delle nostre radici, non possiamo lasciarlo esposto alle scorribande delle marce dei folli.
di Giorgio Bernardelli
Tratto da: http://www.lanuovabq.it/
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