Acqua in bottiglia, un business tutto italiano!

imagesLe bottiglie di plastica? Se ne consumano oltre 6 miliardi l’anno ma neanche un terzo vengono riciclate… In Italia si preferisce l’acqua in bottiglia a quella del rubinetto, più ecologica ed economica, ecco perche al nostro Paese va il triste primato di essere uno tra i primi al mondo per consumi di acqua in bottiglia e il primo in Europa. Record che incide non solo sulle tasche dei consumatori, che per bere acqua in bottiglia spendono in media 200 volte quello che pagherebbero utilizzando quella di rubinetto, ma anche su quelle delle Regioni che non applicano canoni di concessione adeguati. Per cui spesso un bene prezioso e limitato come l’acqua viene venduto a prezzi stracciati alle società imbottigliatrici. Senza considerare gli ingenti danni ambientali legati a questo business.«Nel 2011 il mercato delle acqua in bottiglia è aumentato, passando da 186 litri per abitante nel 2010 ai  188 nel 2011, con 12350 miliardi di litri d’acqua imbottigliati in Italia»  come emerge dal dossier prodotto da Legambiente e Altreconomia “Acque in bottiglia, un’imbarazzante storia italiana”. «Un giro d’affari che riguarda 168 società per 304 marche diverse di acqua in bottiglia, e un bilancio complessivo di 2,25 miliardi di euro».

«Le bottiglie di plastica da 1,5 litri impiegate  sono oltre 6 miliardi, per un totale di 456mila tonnellate di petrolio utilizzato e oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2 emesse per produrle. A questi numeri si deve aggiungere il fatto che ancora oggi solo un terzo delle bottiglie viene avviato a riciclo, mentre i restanti due terzi continuano a finire in discarica, in un inceneritore o dispersa nell’ambiente. La grande maggioranza dei carichi, inoltre, continua a viaggiare su gomma, una della maggiori cause dell’inquinamento atmosferico, con solo il 15% delle bottiglie di acqua minerale che viaggia su ferrovia. Questo vuol dire che una bottiglia d’acqua che proviene dalle Alpi per  esempio, percorre oltre 1000 km per arrivare sulle tavole pugliesi, con consumi di carburante ed emissioni di sostanze inquinanti conseguenti».

«Un business totalmente  nostrano che non ritroviamo in altri Paesi europei, dove il consumo di acqua in bottiglia è molto minore » spiega a Linkiesta Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente e uno dei firmatari del rapporto. «Fenomeno forse legato anche al fatto che l’acqua in bottiglia è un prodotto tipico italiano. Come numero di marche, qualità di acqua che esportiamo e società che la imbottigliano siamo fra i primi al mondo  e questa elevata produzione contribuisce ad aumentare di molto il consumo».

«In natura l’acqua è presente in quantità sempre più limitate, soprattutto quella di buona qualità che è sempre più rara, e noi non possiamo permettere che ci siano delle società che prendano delle enormi quantità di questa acqua  a prezzi ridicoli e li usino per i loro interessi privati» afferma Zampetti.

Uno dei punti sottolineati e denunciati nel dossier è che le società imbottigliatrici continuano a pagare un cifra irrisoria per lo sfruttamento di un bene comune come l’acqua, con cifre che vanno dai 5 euro per ciascun ettaro dato in concessione, come nel caso della Liguria, senza prendere in considerazione i volumi di acqua prelevata e imbottigliata e con un quadro estremamente eterogeneo all’interno del Paese. In realtà dal 2006 la Conferenza delle Regioni aveva approvato un documento per uniformare i canoni da applicare alle concessioni rilasciate a queste società, fissati in 30 euro per ettaro di o frazione di superficie concessa, 1-2,5 euro per m3 di acqua imbottigliata e 0,5-2 euro per m3 di acqua utilizzata.

A sette anni di distanza però il quadro che emerge dal dossier di Legambiente e Altreconomia  è ancora molto lontano dai canoni fissati, e solo il Lazio viene promosso a pieni voti. Eppure se i canoni venissero adeguati – per esempio secondo quelli proposti da Legambiente e Altreconomia (10 Euro/m3 imbottigliato) –  le entrate per Regioni, Comuni e Province aumenterebbero, e potrebbero essere reinvestire nel territorio. In Liguria la Regione incassa appena 3300 euro all’anno per le cinque concessioni attive sul territorio, mentre adeguando i canoni potrebbe arrivare a oltre 1,250 milioni di euro. Idem per Basilicata e Sardegna che passerebbero rispettivamente da 323,464 euro a 9,2 milioni di euro e da 39,464 a 2,5 milioni di euro.

Le Regioni però, nonostante abbiano tutti gli interessi ad aumentare i canoni di concessione e di conseguenza gli introiti, spesso non lo fanno, «perché non rivedono le normative, vecchie e non adeguate, o perché hanno paura di mettere in difficoltà le società imbottigliatrici – spiega Zampetti – come in Veneto, dove prima hanno portato il canone a 3 euro/m3 e poi sono tornati indietro riducendolo a 1 euro, a causa della crisi economica e per garantire la difesa dei livelli occupazionali. Invece di seguire l’interesse comune, insomma, preferiscono salvaguardare l’interesse di pochi».

«In realtà si tratta di cifre ridicole assolutamente sostenibili per le società. Noi con le nostre richieste non vogliamo mettere in crisi il settore ma solo commisurare l’importo che devono pagare queste aziende con quello che è l’impatto della loro attività sul territorio e far pagare la risorsa in base a quanto ne prelevano. Non solo in base agli ettari in concessione come avviene in Liguria, Sardegna ed Emilia Romagna dove pagano sempre la stessa cifra anche se ne consumano di più» continua il  responsabile scientifico di Legambiente.

Alla base di tutto però, vi è un falso mito da sfatare per cui l’acqua del rubinetto per un terzo delle famiglie italiane non è buona da bere. Secondo l’Istat nel 2011 circa il 30% degli italiani non si fidava a berla, meno rispetto al 2002 ma sempre una percentuale elevata. «In gran parte dell’Italia l’acqua esce in buona qualità ed è controllata e garantita – conclude Zampetti – Ci sono solo un numero limitato di contesti in cui si hanno dei problemi, come in alcuni comuni nel nord del Lazio dove la quantità di arsenico presente nell’acqua è ancora troppo elevata o alcune zone dove l’acqua arriva salata come a Reggio Calabria. Certo in alcuni casi può essere poco allettante al gusto ma con qualche piccolo accorgimento è facile renderla piacevole».

Tolte queste piccole zone però non c’è assolutamente nessun rischio, e il perché molte famiglie non bevano l’acqua di rubinetto non è ancora chiaro. Forse colpa anche della scarsa comunicazione. Per sensibilizzare cittadini e esercizi commerciali ad usare l’acqua di rubinetto piuttosto che quella imbottigliata, quindi, da qualche anno Altreconomia ha lanciato la campagna Imbrocchiamola! sostenuta anche da Legambiente. «Chi aderisce all’iniziativa, come ber e ristoranti, serve acqua di rubinetto e lo mette bene in vista sulla porta» conclude Zampetti. «Questo anche per ribadire ai cittadini, che spesso si sentono dire che è vietato servire acqua di rubinetto nei locali, che questo divieto non esiste. È solo una questione di business».

Da sapereeundovere.it

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