Un laboratorio per “bambin* trans e gender creative”. Basterebbe solo il titolo, con tanto di asterisco, per inorridire, ma evidentemente qualche “esperto” non è dello stesso parere poiché anche il Comitato etico dell’Università Roma Tre ha dato l’approvazione a tale progetto, come dimostra la locandina che gira sui social per pubblicizzare l’evento che si terrà il prossimo 28 settembre, alle ore 10, proprio presso l’Università di Roma Tre, nella sede a pochi passi dalla stazione Termini della Capitale.
Sempre la locandina svela i contenuti e gli obiettivi dell’iniziativa: “un progetto di ricerca con strumenti ludico-creativo per ascoltare e accogliere le storie di bambin* e ragazz* (dai 5 ai 14 anni) condotto da ricercator* della comunità e da un’insegnante montessoriana”.
Tanti, di conseguenza, i dubbi (per usare un eufemismo) che sorgono spontanei: cosa ha fa fatto sì che il Comitato desse il via libera? Con quali parametri, su quali basi, si è dato l’ok a questo laboratorio che dal punto di vista dei contenuti e dell’esperienza proposta ha tutta l’aria di essere un vero e proprio indottrinamento?
Domande cui, forse, non troveremo risposta. Certo è che l’evento, così come viene presentato, sconcerta: innanzitutto perché rivolto non solo ad adolescenti e pre adolescenti, ma anche a giovanissimi e bambini della scuola primaria. Il progetto, inoltre, come detto, parla di storie. Ma quali storie? Come verranno raccontate? Come verranno presentate e spiegate a bambini così piccoli?
Domande retoriche, in realtà, soprattutto se pensiamo a chi cura la stessa organizzazione: Michela Mariotto. Si tratta di una sorta di “guru” nel settore del cosiddetto “gender creative” e all’intero del mondo arcobaleno rivolto a bambini. In una recente intervista, pubblicata sul blog della giornalista Eugenia Romanelli, proprio l’addetta al progetto – che viene indicata nella locandina dell’evento per avere ulteriori informazioni e adesioni – ha avuto modo di dire, parlando del gender: “Compito degli adulti e delle istituzioni è creare lo spazio che permetta al/la bambin* di prendere consapevolezza della propria soggettività” o frasi come “situazione non sempre facile da inquadrare come concetto e descrivere con le parole a disposizione”… ben sapendo che i soggetti in questione, in realtà, nel caso dei bambini più piccoli, non sanno ancora nemmeno quasi scrivere il proprio nome, figurarsi comprendere teorie così distanti dalla realtà come quelle gender, della fluidità sessuale e del non-binarismo.
Con la scusa della non discriminazione, inoltre, la stessa spinge per l’implementazione dei programmi su “l’uguaglianza di genere, il rispetto della diversità sessuale e di genere e la prevenzione di comportamenti omofobi e transfobici” finendo per ribadire come “le istituzioni si pongono come obiettivo non solo quello di rafforzare le proprie strutture e competenze, ma di costruire strutture amministrative e organizzative in cui la partecipazione delle stesse persone LGBTI sia il requisito fondamentale”.
Un requisito puramente ideologico, non certo di merito, quindi. Con l’iniziativa romana e avallata da Roma Tre, dunque, ci troviamo di fronte al solito concentrato di asterischi, arcobaleni e pensiero unico, con l’unica differenza che i destinatari della propaganda politicamente corretta, stavolta, sono bambini dai 5 anni.
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