ASIA/PAKISTAN – Conversioni religiose forzate: una questione grave per le minoranze religiose

Lahore (Agenzia Fides) – “La questione delle conversioni religiose forzate è oggi fonte di grande preoccupazione per le minoranze religiose in Pakistan, soprattutto per cristiani e indù, ma sembra mancare della volontà politica di risolverla. Ciò può essere dovuto all’instabilità politica e alla pressione di gruppi religiosi estremisti; tutto ciò sta creando gravi difficoltà alle minoranze religiose”: lo dice, in un messaggio inviato all’Agenzia Fides, Nasir Saeed, Direttore della Ong CLAAS (Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement). Il recente rigetto di una proposta di legge, tesa a frenare il fenomeno del rapimento e della conversione all’islam di ragazze minorenni cristiane e indù, ha suscitato nella nazione dibattito e proteste (vedi Fides 9/11/2021).
Prosegue Nasir Saeed: “Non c’è una soluzione rapida ai problemi delle minoranze poiché il governo non presta loro adeguata attenzione, sia che si tratti di discriminazione nelle scuole e nei programmi universitari, sia che si parli di lavoro, matrimonio e divorzio, abuso della legge sulla blasfemia o conversioni forzate”.
La questione della conversione forzata delle minorenni cristiane e indù è diventata molto più complicata dopo che la Commissione parlamentare ha bocciato un apposito disegno di legge presentato in Commissione per essere poi discusso in Parlamento. Il Consiglio dell’Ideologia Islamica e il Ministero degli Affari Religiosi hanno già espresso parere negativo. “Ciò vuol dire che la questione non potrà essere portata in Parlamento per molto tempo e purtroppo le minorenni cristiane e indù continueranno a soffrire e ad essere prese di mira e non ci sarà giustizia” nota il Direttore di CLAAS.
La speranza di ottenere giustizia è dunque nella mani dei tribunali che, però, “stanno emettendo sentenze influenzate dalla sharia” (la legge islamica, ndr), rileva. Nel recente caso di una ragazza cristiana, la 14enne Chashman, l’Alta Corte di Lahore ha affermato che non esiste un’età minima per la conversione nell’Islam e che né il Sacro Corano né alcun Hadith del Profeta stabiliscono un’età minima per convertirsi all’Islam. Ha inoltre affermato che i giuristi musulmani considerano la capacità mentale di un bambino di importanza cruciale per la questione della conversione religiosa. Secondo il giudice, l’età del discernimento è generalmente considerata come l’età in cui si raggiunge la pubertà.
“Tali osservazioni e i giudizi delle Corti incoraggiano gli autori dei rapimenti di ragazze minorenni non musulmane. Questo non è il primo giudizio del genere da parte dei giudici dell’Alta Corte. Ce ne sono molti altri, come quelli sui casi di Maira Shahbaz, Huma Younis, Nayab Gill o Shakina, 14enne che è ancora sotto la custodia dei suoi rapitori”. Secondo il Direttore, “è una tendenza pericolosa soprattutto quando i giudici dell’Alta Corte emettono sentenze influenzate dalla Shariah, invece di sostenere la legge prevalente del paese, come il Child Marriage Restraint Act (1929) che criminalizza i matrimoni di ragazze sotto i 16 anni. In tal modo i tribunali pakistani continuano a ignorare anche gli standard internazionali”.
Inoltre, rileva, “altre fazioni della società pakistana hanno la stessa convinzione e mentalità, e la maggioranza dei musulmani è contraria a definire un’età minima per la conversione all’Islam poiché crede che una legge contro la conversione forzata sarebbe contro il Corano e la Sunnah e potrebbe creare disordini sociali”.
Conclude Saeed: “In una situazione così difficile, occorre lottare per la giustizia e il cambiamento, bisogna lavorare sodo in modo indipendente, utilizzando tutte le piattaforme e le alleanze a livello nazionale e internazionale. È molto importante continuare a ricordare al Pakistan i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani, specialmente nei confronti dei bambini, delle donne e delle minoranze”.

http://fides.org/it/news/71123-ASIA_PAKISTAN_Conversioni_religiose_forzate_una_questione_grave_per_le_minoranze_religiose

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