Atti autolesivi nei giovani; fra carenza di modelli e di valori

Dalle pillole di benzodiazepine, agli alcolici, o peggio di candeggina ingerita per finire al tagliarsi sono il segnale di un grido disperato d’aiuto tra la popolazione degli adolescenti e fino ai 21 anni circa. Certamente è il grido di attenzione ma di certo manifesta un disagio clinicamente descrivibile sotto la categoria diagnostica di “autolesionismo”. Descritta dal DSM-5 (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali 2013) come categoria diagnostica. Lo si definisce come una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo, condotti per almeno 5 giorni nell’ultimo anno.  La condotta autolesiva per essere tale deve essere preceduta da una o più delle seguenti aspettative: ottenere sollievo da una sensazione vissuta come negativa; Inoltre, il comportamento autolesivo deve essere associato disagio esistenziale e psicologico significativo. In diversi casi nasce ai primi segnali di difficoltà scolastiche, relazionali e di incomprensione genitoriali. Eppure c’è un paradosso perché questi stessi giovani in crisi manifestano per un mondo migliore vedi la lotta per il clima, per un consumo energetico pulito, per un futuro migliore eppure questi stessi giovani non sanno fare a meno di congegni elettronici, utilizzano mezzi elettrici per spostarsi, comprano in continuazione beni di consumo, pretendono una vita agiata; non sanno vivere senza uno smartphone all’avanguardia; qualcosa non quadra. Un’analisi realizzata per l’Adnkronos Salute, ha messo a confronto i dati degli anni 2014, 2015 e 2016 di un mese circa condotte autolesive specificamente da intossicazione di sostanze ingerite registrando tra 48-50 intossicazioni a scopo autolesivo con quelli degli anni 2020 e 2021 e registrando in un mese punte di 86/100. Il dato senza dubbio è una spia rossa sul disagio dei ragazzi. Questi dati ci devono far riflettere proprio in concomitanza con la Giornata mondiale della salute mentale che si è celebrata domenica il 10 ottobre 2021. Sicuramente la pandemia ha esacerbato le problematiche di base dell’incertezza esistenziale, i periodi di lockdown ha evidenziato crisi di relazione tra genitori e tra genitori e figli (Riccardi. P., la dimensione amorosa tra intimità e spiritualità, ed. D’ettoris, 2021). Ma il dato realmente significativo a riguardo del rapporto genitori e figli è il vuoto che lascia l’immagine del genitore un’immagine che perde di modello e questo accentua, da un punto di vista psicologico, un gap generazionale. relazione nonché di mancanza di modelli di una certa coerenza.

Di sicuro la pandemia da Covid, ha acceso una luce sul quel mondo adulto che non si configura come modello di apprendimento. Secondo lo psicologo canadese Albert Bandura, l’apprendimento non implica solo l’esperienza diretta con gli oggetti o le persone, ma è anche un processo indiretto attraverso l’osservazione di altre persone che fungono da modello. Se Lo psicologo Bandura lo ha evidenziato negli anni 70, è nella cultura biblica che se ne ravvisa l’importanza del modello educativo; in 2 Maccabei (Antico Testamento) della Bibbia, al capitolo 6, si legge: “Un tale Eleazaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e ad ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per brama di sopravvivere» con queste parole si nota un uomo che tiene fede ai suoi principi e per essi lotta con tutto sé stesso in coerenza. Ed ecco che Eleazaro così risponde a chi gli obbliga di fare un qualcosa contro il proprio volere: «Non è affatto degno della nostra età fingere con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato agli usi stranieri, a loro volta, per colpa della mia finzione, durante pochi e brevissimi giorni di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia…. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e generosamente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio». Nelle affermazioni del vecchio Eleazaro, si coglie un grosso principio educativo. Un grosso esempio, che forse dovrà far riflettere molti adulti quando moralizzano sui giovani e ragazzi, quando si industriano a parlare loro di droghe, di dipendenze e di condotte devianti e quant’altro mentre loro stessi difettano di coerenza e autenticità. Ipocrita avrebbe detto Gesù e nella psicoterapeutica di Gesù (Riccardi P., Psicoterapia del cuore e beatitudini ed. Cittadella 2019) sono quelli che dicono una cosa e ne fanno un’altra, sono quelli che professano una condotta e si comportano in un modo diverso (Matteo 23; Luca 20). È all’insegna di questa contraddizione che si annidano i gap generazionali. Per gli adulti emerge un nuovo impegno educativo quello di sapere essere modello di riferimento, trasmettitore di valori che non è solo questione del saper comunicare e/o dialogare. Perché un dialogare diventa sterile se non si percepisce una coerenza nell’altro. Se i giovani sconfessano i valori della famiglia, del credo, della fiducia è perché non hanno punti di stabile riferimento. Così come l’adulto non ha punti di riferimento e lo sa bene il salmista quando nella sfiducia dice: mio dio mio riferimento in te mi rifugio. Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene». (Salmo 16).

È un dato di fatto che i giovani sono maggiormente centrati sulla loro realizzazione personale, sui problemi derivanti dalle dinamiche relazionali, sulle prospettive della loro esistenza. Ma questa centratura ha bisogno di risposte per acquisire configurarsi come esperienza di crescita. Risposta che non trovano espressione nel linguaggio parlato, ma nell’essere (modello) come ha dimostrato il vecchio Eleazaro (2Maccabei 6). Come professionista della salute mentale colgo una certa fatica ad individuare in un nucleo familiare il vivere da adolescente di un genitore rispetto al figlio adolescente. È paradossale quando un genitore si posta su un tic toc o altro social al pari di un figlio adolescente. Per dirla in maniera semplice un genitore può dire al figlio di realizzarsi mentre la sua vita appare insignificante; può dire di avere fiducia mentre è il primo a non averla nel prossimo, può dire di non dipendere dallo smartphone eppure è il primo ad utilizzarlo quando è il tempo del dialogo, e coì via si ripete il ritornello del modello che appare per quello che non è. “Diventa ciò che sei” dice il saggio del filosofo danese Friedrich Nietzsche e questo significa anche riscoprire quei valori di amicizia, di famiglia, di amore per il prossimo.

Quei valori che lo psichiatra Viktor Frankl, ha posto come base di orientamento per la cura mentale e il disagio giovanile. Si può dire che il nucleo centrale nella teoria frankliana è la volontà di significato che costituisce la motivazione fondamentale dell’uomo a ricercare tutto ciò che nella vita abbia un significato. In questa ricerca senza dubbio l’uomo è guidato da un sistema di valori. Ecco che i valori diventano guida di orientamento da seguire per una vita sana ed equilibrata. Nell’antropologia cristiana i valori emergono a più riprese sotto il nome di beatitudini come schema e guida da seguire per eliminare le incertezze esistenziali del vivere (P. Riccardi, Psicoterapia del cuore e Beatitudini ed. Cittadella Assisi 2018). Ma troviamo tracce valoriali nella cultura del vecchio testamento nella tipologia dei dieci comandamenti di Dio trasmessi per mezzo del profeta Mosé (Deuteronomio 5, 1-21). Comandamenti a cui Gesù fa riferimento quando al giovane che gli chiede cosa deve fare per avere la vita eterna Gesù risponde: «Se vuoi entrare nella vita eterna osserva i Comandamenti» (Mt 19,1617). Gesù propone, al giovane una guida, i dieci comandamenti che assurgono a valori da seguire dato che in essi si parla del prossimo, e delle relazioni. Nella psicoterapia del cuore di Gesù propone i valori e propone lui stesso come modello valoriale da seguire: ««Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12).

Con calma, riflessione e presa di coscienza, alla luce di un modello dettato da Cristo, è possibile riscoprire il senso del vivere attraverso la guida di valori che da sempre guidano l’umana esistenza. Il problema è quando questi valori non sono vissuti con coerenza e autenticità dal mondo adulto che al giovane non arrivano, lasciando quel vuoto che grida dietro a gesti di autolesionismo e disagio mentale.

Pasquale Riccardi

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook