Anche Amnesty International e Greenpeace (oltre a un’altra dozzina di associazioni, media e sindacati) contestano la politica repressiva adottata in Belgio nei confronti delle manifestazioni pro-Palestina
E’ una lista di sigle ben note nel campo della difesa dei diritti sociali, dei diritti umani e dell’ambiente quella di chi ha sottoscritto l’appello del 20 settembre: ABVV-FGTB (Algemeen Belgisch Vakverbond – Fédération Générale du Travail de Belgique), Kif Kif (movimento interculturale antirazzista), Associatione Belgio-Palestina, Greenpeace del Belgio, Soralia, Amnesty International del Belgio, Mouvement Présence et Action Culturelles, Liga voor mensenrechten, Ligue des droits humains, Mouvement Ouvrier Chrétien (MOC), ZIN TV, BelRefugees, CNCD-11.11.11. (Assemblea volontaria per lo sviluppo della cittadinanza mondiale e solidale), Avocats sans frontières.
Si tratta di alcune delle associazioni che nelle ultime settimane in Belgio hanno manifestato per l’intensificarsi di quella che considerano un’ingiusta repressione dei movimenti a sostegno della popolazione palestinese.
Ritenendo che si configuri come una vera e propria violazione del diritto della libertà di espressione quello esercitato nei confronti di persone che espongono simboli di sostegno alla Palestina (come la proibizione di indossare una kefiah) o le multe per chi ha partecipato alle manifestazioni. Così come la repressione nei confronti di coloro che avevano occupato istituti universitari. Quello che viene messo in discussione – per Amnesty International e le le altre associazioni firmatari – è nient’altro che “il diritto a protestare”, al dissenso. Con un richiamo esplicito nei confronti delle istituzioni per la vigilanza democratica.
Nel comunicato si ricorda che dai primi di settembre almeno una settantina di persone (per l’occupazione del campus di Solbosch nell’Universté Libre de Bruxelles – ULB ) hanno ricevuto una convocazione giudiziaria per “appartenenza a un gruppo che sostiene la segregazione e la discriminazione razziale”. Un reato che potrebbe portare in carcere.
Al di là delle accuse specifiche (di cui non si è ancora a conoscenza), ciò che preoccupa Amnesty International e le altre ONG è sia la grande quantità di persone denunciate , sia la natura stessa delle denunce. L’occupazione, denominata “Université populaire de Bruxelles”, si era conclusa con l’espulsione dei manifestanti il 25 luglio. Oltre a denunciare il gran numero di vittime (circa 40mial) conseguenza dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, sollecitava le autorità accademiche a sospendere le collaborazioni con “le istituzioni accademiche e le aziende sioniste che prendono parte all’oppressione sistematica del popolo palestinese”.
Inoltre, ricordano sempre le associazioni, negli ultimi tempi diverse decine di persone hanno ricevuto sanzioni amministrative comunali per aver partecipato a manifestazioni pro-palestina. Sia a Bruxelles che a Gand e a Lovanio.
Ricordano anche come i manifestanti siano stati duramente sottoposti alla repressione a Uccle il 28 maggio (manifestazione non autorizzata davanti all’ambasciata israeliana) con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Per le ONG questo potrebbe configurarsi come “contrario al diritto internazionale” in quanto la mancanza di notifica in quanto “la mancanza di notifica preventiva alle autorità di un raduno, qualora tale notifica sia richiesta, non rende illegale la partecipazione alla riunione e non è un motivo valido per disperdere la riunione stessa o per arrestare partecipanti e organizzatori o per infliggere sanzioni ingiustificate”.
Per la Ligue des droits humains (LDH) si dice particolarmente preoccupata per le pressioni ingiustificate da parte della polizia nei confronti di chi indossa segni di riconoscimento palestinesi (bandiere palestinesi, kefieh…) nei luoghi pubblici
Minacciandole di arresto qualora si rifiutino di toglierli come è accaduto spesso a Bruxelles e Anversa. Ritenendo che “portare una bandiera palestinesi rientri nellalibertà di espressione e non costituisca né una minaccia all’ordine pubblico, né un incitamento alla violenza o all’odio”.
Viene poi ricordato come nel marzo 2024 ZIN TV abbia subito forti pressioni dopo aver ospitato una conferenza sulla “criminalisation des voix palestiniennes dans l’Union européenne”. Analogamento a quanto è capitato ad altri media alternativi.
Per cui, concludono, a questo punto “è in pericolo il diritto stesso di protestare”.
Messi tutti insieme questi eventi inviano un “segnale preoccupante”.
Con singolare tempismo, il giorno successivo alla pubblicazione del comunicato (il 21 settembre) il deputato Denis Ducarme (esponente del Mouvement reformateur- MR – e che prende parte ai negoziati per la formazione del nuovo governo) annunciava che avrebbe promosso una legge per interdire l’organizzazione filopalestinese Samidoun.
Gianni Sartori
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