Bimbi con la vagina (e viceversa): la perversione transex ora diventa un manifesto pubblicitario

“Ci sono bambine con il pene e bambini con la vulva. E’ così semplice. La maggior parte soffre ogni giorno perché la società non vuole riconoscere questa realtà”. Stiamo parlando della campagna pubblicitaria ideata da Chrysallis, Associazione dei Minori Transessuali con sede nei Paesi Baschi, comunità autonoma della Spagna, affinché il transessualismo diventi pratica comune anche tra i fasciatoi e i biberon. Lo slogan è accompagnato dall’immagine disegnata di quattro bambini nudi. Un maschietto con il pene ed uno con la vagina, una femminuccia con la vagina e un’altra con il pene. I manifesti sono stati affissi presso le fermate dell’autobus e nella metro di Bilbao, nonché in altri luoghi della regione confinante di Navarra. La campagna è stata realizzata grazie alla donazione di 30mila dollari proveniente da un facoltoso quanto anonimo benefattore di New York.

L’associazione Chrysallis sostiene che “recenti studi hanno dimostrato che il tasso di tentativi di suicidio tra gli adulti transgender a cui da bambini non è stata riconosciuta la loro identità sessuale è notevolmente superiore alla media”.

La rivista The New Atlantis l’anno scorso ha pubblicato una revisione di 500 studi scientifici dal titolo “Sessualità e genere. Risultati di carattere biologico, psicologico e sociale”. Gli autori sono Lawrence S. Mayer docente di statistica e biostatistica presso l’Università dell’Arizona e Paul R. McHugh, professore di psichiatria e scienze comportamentali alla Johns Hopkins University School of Medicine. Gli autori rammentano innanzitutto che “gli studi scientifici non supportano l’ipotesi che l’identità di genere sia una proprietà innata e umana fissa e indipendente dal sesso biologico, cioè che una persona è ‘un uomo intrappolato nel corpo di una donna’ o ‘una donna è intrappolata nel corpo di un uomo’, come se ci fosse un errore nel suo corpo e nei suoi genitali”.

Mayer ha poi affermato in merito al transessualismo dei minori: “Chiaramente non ha alcun supporto scientifico l’idea che un bambino di due anni, che ha espresso pensieri o comportamenti che sono identificati con il sesso opposto, possa essere bollato per la vita come transgender. E’ perverso credere che tutti i bambini con pensieri o comportamenti di genere atipici a un certo punto del loro sviluppo, in particolare prima della pubertà, dovrebbero essere incoraggiati a diventare transgender”. Lo studio ha ricordato inoltre che solo un piccolo numero di bambini con problemi di disforia continua a presentare queste problematiche nell’adolescenza e nell’età adulta. Anche la Società Pediatrica Americana ha ribadito che il 98% dei bambini e l’88% delle bambine che presentano problematiche di questo tipo accettano senza difficoltà e in modo naturale il loro sesso biologico all’entrata dell’età puberale. Per gli altri esiste sempre l’accompagnamento psicologico se vogliono.

Inoltre Mayer e McHugh hanno aggiunto che “ci sono poche prove scientifiche sul valore terapeutico degli interventi per ritardare la pubertà o per modificare i caratteri sessuali secondari degli adolescenti” e “non vi è alcuna prova che si dovrebbero incoraggiare a diventare transgender tutti i bambini che esprimono idee o comportamenti atipici sul genere”.

In merito poi ai tassi di suicidio, lo studio prima citato rende noto che il tasso dei suicidi tra transgender adulti è del 41% quando il tasso di suicidi nella popolazione americana è meno del 5%. Ciò non dipende dalla cosiddetta omofobia interiorizzata – la presunta sofferenza patita dalle persone omosessuali e transessuali nata perché non si sentono accettate dalla società – dato che simili tassi di suicidio si registrano anche in quegli ambienti fortemente inclusivi. Alle medesime conclusioni arriva la Società Pediatrica Americana già citata che fa il caso della Svezia – Paese notoriamente assai liberale in fatto di costumi sessuali – in cui il tasso di suicidio dai transessuali sottoposti a terapie ormonali ed operazioni chirurgiche è di venti volte superiore rispetto ai non transessuali.

Infine se andiamo a leggere la US Transgender Survey 2015, una inchiesta realizzata intervistando 27.715 transessuali americani, scopriamo che il 29% dichiara di vivere in uno stato di povertà, uno su tre rivela che per un certo periodo della sua vita non ha avuto nemmeno una casa, il 39% ha ammesso di aver accusato disagio psicologico nel mese anteriore all’inchiesta stessa (contro il 5% della popolazione), e il 40% ha dichiarato che aveva tentato il suicidio almeno una volta (contro il 4,6% della popolazione non transessuale).

In breve il transessualismo non è la soluzione al disagio, ma è il disagio stesso. Nonostante questo l’associazione Chrysallis spinge perché l’infelicità sia il nuovo abito che la teoria del gender vuole cucire addosso ai bambini fin dall’infanzia.

di Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it

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