CARCERI IRANIANE: MENTRE VIENE ANNULLATA LA CONDANNA A MORTE PER SHARIFEH MOHAMMADI, UN’ALTRA PRIGIONIERA POLITICA CURDA ENTRA IN SCIOPERO DELLA FAME ILLIMITATO

Lo so, criticare l’Iran in questi frangenti, mentre incombono devastanti ritorsioni da parte di Israele (e dopo Gaza e il Libano sappiamo di quale portata e con quali costi tra i civili) potrebbe sembrare – detto fuori dai denti – sciacallaggio.

Ma su questioni come il diritto dei popoli (curdi, ma non solo) e utilizzo su scala industriale della pena di morte non è possibile transigere.

Caso mai dovrebbe essere Teheran a interrogarsi se è lecito parlare di antimperialismo con tali modalità

D’altra parte oggi (13 ottobre) c’è anche una notizia di segno opposto, l’annullamento della condanna a morte per una prigioniera politica. Un segno di ripensamento (anche per le ampie proteste in carcere), se non proprio di ravvedimento?

Comunque un raggio di speranza per quanto tenue. Ma andiamo con ordine.

Il 10 ottobre 2024 la militante curda Warisha Moradi, rinchiusa nel carcere di Evin, ha annunciato di essere entrata in sciopero della fame illimitato per protestare sia contro le condizioni del carcere, sia contro la pena di morte inflitta con estrema facilità in Iran.

Il messaggio della detenuta è stato diffuso in Francia dal KHRN (Rete dei diritti umani del Kurdistan).La data scelta da Warisha non è casuale. Si tratta della Giornata europea e di quella internazionale contro la pena di morte. In precedenza la prigioniera curda aveva partecipato ai “Martedì Neri” che da parecchi mesi vedono molte prigioniere politiche digiunare nella giornata di martedì. Una protesta settimanale iniziata in gennaio nel carcere di Qezelhesar(a Karaj) chiedendo l’abolizione della pena capitale e che attualmente coinvolge una ventina di prigioni nel Paese.

Warisha Moradi (conosciuta come Ciwana Sine) era stata arrestata nell’agosto 2023 durante un controllo di polizia a Sine (Sananda). Viene accusata di “inimicizia verso Dio” e di “ribellione armata contro lo Stato”.

Sulla base della sua partecipazione al KJAR, un movimento delle donne curde in Iran che per Teheran sarebbe affiliato al PJAK (Partito per una vita libera nel Kurdistan). Ossia un’organizzazione “separatista e terrorista” per le autorità iraniane.

In caso di condanna rischia la pena di morte.

Scomparsa per settimane dopo essere stata arrestata, veniva portata in qualche centro di detenzione segreto e qui, presumibilmente, torturata e interrogata dai servizi segreti. Una volta nel carcere di Teheran, veniva rinchiusa nel reparto di massima sicurezza 209 (dove sarebbe stata nuovamente sottoposta a tortura per estorcerle una qualche confessione). Attualmente si trova nella sezione femminile di Evin praticamente nell’impossibilità di confrontarsi con il proprio avvocato.

Quanto alla buona notizia di cui si diceva, riguarda un’altra prigioniera politica curda: Sharifeh Mohammadi, detenuta nel carcere di Lakan a Rasht.

La Corte suprema iraniana ha annullato la condanna a morte per la sindacalista curda (accusata di far parte di un’organizzazione curda illegale, il partito Komala) rinviandola ad un altro tribunale (o forse, stando alle dichiarazioni del suo avvocato, al medesimo che precedentemente l’aveva condannata) per il riesame.

Arrestata nel dicembre 2023, sottoposta maltrattamenti e torture da parte degli agenti dell’intelligence, Sharifeh era stata condannata alla pena capitale il 4 luglio. In quanto colpevole di “ribellione”.

C’è da augurarsi, come auspicato dal portavoce della Campagna di difesa di Sharifeh Mohammadi” che “venga assolta da tutte le accuse e rimessa in libertà”.

Sarebbe cosa buona e giusta. Anche per l’Iran.

Gianni Sartori

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