“Caso veleno”: la testimonianza che fa tremare i polsi

La vicenda dei “diavoli della Bassa Modenese” inizia a venire fuori in tutta la sua tragica potenza.

Davide Tonelli, oggi 31enne, è il “bambino zero” dell’inchiesta ed è anche il primo ad aver parlato apertamente con i media del “caso Veleno”.

Vent’anni di menzogne e di inferno

Alla fine degli anni ’90, in Provincia di Modena, sedici minori furono sottratti alle famiglie per presunti abusi sessuali. Tenuti a lungo sotto torchio dagli assistenti sociali e dagli psicologi, i bambini erano stati sostanzialmente persuasi della colpevolezza dei genitori. La cupissima vicenda ha fatto emergere persino riti satanici e infanticidi ma l’ipotesi è stata smentita.

Nel 1997, Davide fu il primo, all’età di sette anni, ad essere allontanato dalla famiglia. In quell’occasione, aveva detto di essere stato abusato dal padre e dal fratello maggiore. Le cose, però, andarono molto diversamente.

Il bambino era stato effettivamente affidato ad un’altra famiglia ma per ragioni economiche. I genitori non avevano soldi per mantenerlo. “Un giorno – ha raccontato Davide nei giorni scorsi a Repubblica – vidi che la mia mamma naturale era molto triste e quando tornai nella casa della mia famiglia affidataria ero cupo anche io. La donna che poi divenne la mia madre adottiva si convinse che venivo maltrattato dai miei genitori naturali. E così iniziarono i colloqui con i servizi sociali. Mi tenevano anche otto ore”.

La vicenda di Davide è venuta allo scoperto nel 2017, a vent’anni esatti dall’inizio del dramma, grazie al podcast Veleno, a cura di Pablo Trincia, pubblicato sempre su Repubblica. Nel documentario, Davide viene chiamato Dario e la sua immagine non appare.

Costretto a inventarsi tutto

La psicologa e gli assistenti sociali – ha confidato ancora Davide – mi martellavano fino a quando non dicevo quello che volevano sentirsi dire. Io avevo anche paura che, se non li avessi accontentati, sarei stato abbandonato dalla mia nuova famiglia, e così inventai. Inventai tutto. Abusi e cimiteri, violenze e riti satanici… Inventai dei nomi a caso, su un foglio per disperazione”.

Ho inventato che mio fratello aveva abusato di me – ha proseguito – che c’erano delle persone che facevano dei riti satanici. Ma non c’era nulla di vero. Mi sono inventato tutto. Perché se dicevo che stavo bene non mi credeva nessuno. A forza di insistere ho detto quello che si volevano sentir dire”.

Nel frattempo, Davide ha riallacciato i rapporti con la sua famiglia naturale ma, nel ventennio precedente, ha vissuto un autentico inferno. Dopo che, al suo caso fecero seguito quelli di altri minori, gli psicologi avevano iniziato a lusingarlo: la sua testimonianza, dicevano, aveva salvato gli altri bambini. “Ma io non avevo salvato proprio nessuno. Mi sono sentito morire dentro”, ha detto Davide.

La sua storia si intreccia con quella dei bambini strappati alle famiglie nella vicina Bibbiano. Davide fu infatti seguito dallo psicologo Claudio Foti, poi finito al centro dell’inchiesta della Val D’Elsa: “Anche lui ha provato a farmi dire che avevo subito abusi. E di stare lontano dai giornalisti”. Con la stampa, poi, però, Davide ha parlato. E una buona fetta di verità è emersa.

Luca Marcolivio

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