Catturato all’aeroporto con un embrione in valigia, «li contrabbando da 18 mesi»

«Mi ha reclutato un’agenzia malese, traffico per la clinica Indo Nippon». Nonostante abbia vietato la surrogata commerciale, l’India è ancora la mecca dell’inferno procreativo.

Il 15 marzo le autorità indiane fermano un cittadino malesiano all’aeroporto di Mumbai. In valigia gli trovano un contenitore di azoto: dentro, congelato, c’è un embrione umano. L’uomo, identificato col nome di Partheban Durai, spiega che è diretto alla famosa clinica Indo Nippon IVF, il centro per l’infertilità nel quartiere di Bandra ovest. È lì, confessa l’uomo, che negli ultimi 18 mesi ha effettuato altre sette, otto, dieci consegne: lo schema è sempre stato lo stesso, arrivo in mattinata, consegna del “pacco”, ritorno con un volo serale. Perché è questo il lavoro di Durai: contrabbandare embrioni.

LA CLINICA NEI GUAI

In India, a meno che siano destinati alla ricerca, l’importazione di embrioni è vietata dal 2015, e le autorità sono convinte di aver intercettato un traffico finalizzato ad alimentare il mercato dell’utero in affitto. Nonostante la Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento, abbia approvato a dicembre una legge che mette al bando la maternità surrogata a scopi “commerciali”, l’India è infatti ancora il più importante hub del turismo procreativo: il settore della fecondazione assistita, spiega AsiaNews, fattura ogni anno circa 5 miliardi di dollari (4,4 miliardi di euro) e nel paese sono presenti più di 500 cliniche.

Centri come la Indo Nippon IVF che ha rigettato ogni accusa tramite il suo direttore scientifico e cofondatore, la celebre embrionologa Goral Gandhi; tuttavia gli agenti della Revenue Intelligence (DRI) che hanno effettuato l’arresto di Durai, assicurano di essere in possesso di messaggi, ritrovati sul suo cellulare, e documenti che confermano la versione del malese: questo embrione andava consegnato alla Indo Nippon. L’Alta Corte di Bombay al momento ha vietato ogni tipo di misura cautelare nei confronti della dottoressa Gandhi, che sarà sentita dai giudici il 22 marzo in attesa di un’udienza che si terrà il 3 aprile. L’avvocato di Gandhi promette battaglia sostenendo si tratti di una «cospirazione ordita dalla concorrenza». La DRI indaga intanto per capire a cosa fosse destinato quel pacco contrabbandato, se a una surrogata o alla vendita ad altre cliniche o medici.

L’AGENZIA MALESE, IL PIANO DEI RECLUTATORI

Durai, scrivono i giornali indiani, ha raccontato di essere stato assoldato da Heart 2 Art, un’agenzia che si occupa di coppie con problemi di fertilità che ha sede in Malesia, gestita da una persona di origine indiana insieme alla moglie, una donna inglese: «Fanno da agenti del contrabbando illegale di embrioni in India», sostiene la DRI. Parlando all’Indian Express un funzionario ha detto che in seguito alla perquisizione dei locali del centro per la fertilità indiano sono stati recuperati «documenti compromettenti relativi al contrabbando di embrioni», o, come riporta il Times of India, comunicazioni tra la clinica e varie agenzie malesi contenenti richieste specifiche in merito alla donazione di ovuli. Una volta intercettato, i funzionari hanno chiesto a Durai di collaborare. Lo hanno accompagnato in un hotel a cinque stelle, dove gli era stato chiesto di fare il check-in: «Durai ha inviato le immagini dell’hotel ai suoi supervisori come prova che tutto stava procedendo secondo i piani. Gli è stato detto di lasciare l’embrione alla clinica Indo Nippon. Ricevuto l’ordine, Durai ha preso il contenitore». È stato arrestato solo dopo la consegna.

NELLA MECCA DELL’UTERO IN AFFITTO

In Malesia la legge islamica non consente la maternità surrogata. Gli esperti della fecondazione in vitro tuttavia ritengono che le coppie malesi possano ricorrere alla surrogazione in India dove il Surrogacy (Regulation) Bill, presentato in prima bozza dal governo nel 2016 e approvato a dicembre 2018, mette al bando l’affitto dell’utero a scopo commerciali, ma non la gestazione per altri in forma altruistica. Secondo la normativa infatti, coppie sterili indiane sposate da almeno cinque anni, possono ricorrere alla surrogazione di maternità qualora la gravidanza venga portata a termine una parente stretta. Single, omosessuali e stranieri sono esclusi e puniti (con la detenzione fino a dieci anni e multe fino a un milione di rupie), ma è difficile porre un freno al business delle tecniche di riproduzione che, sulla pelle dei poveri e a costi competitivi (da 18 a 30 mila dollari per una gravidanza, un terzo dei prezzi degli Stati Uniti), ha trasformato l’India nella mecca della surrogata. Aprendo le porte all’utero in affitto nel 2002, senza alcun quadro legislativo, con a disposizione infrastrutture mediche di qualità e un enorme potenziale di donne povere ad alimentare la crescita di questa industria, il paese è diventato in brevissimo tempo un hub mondiale del turismo procreativo, con migliaia di coppie straniere (anche italiane) che si sono riversate in massa nel subcontinente.

LE ABERRAZIONI DELLA SURROGATA

Il vuoto normativo ha reso al contempo l’India la cartina al tornasole di tutte le aberrazioni dell’utero in affitto. Basti ricordare il caso di Baby Manji, un bimbo “ordinato” da una coppia giapponese che ha divorziato un mese prima che una madre surrogata lo mettesse al mondo. O riguardare Google Baby, documentario realizzato nel 2009 dalla regista israeliana Zippi Brand Frank che nel 2009 ha mostrato al mondo come cosa c’era dietro alla fiorente industria della surrogata in India, dove povere contadine danno alla luce bambini ordinati su internet da stranieri facoltosi: embrioni in valigia, menù di donatrici, poche fisime su aborto selettivo e committenti 57enni e single: vale tutto, basta pagare. O ancora, rileggere il reportage di Julia Bindel pubblicato dal Guardian nel 2016 sulle fattorie umane indiane, le “surrogacy houses”, in cui vengono stipate “in batteria” le donne che conducono la gravidanza in surrogazione e che vengono sfamate e accudite solo a tale scopo: produrre esseri umani dietro il corrispettivo di un prezzo.

LE CONSEGUENZE DI ANNI E ANNI DI MERCIMONIO

Nell’ottobre del 2015 la Corte Suprema dell’India accusò il governo di aver permesso «il traffico di embrioni umani», «un business che si è evoluto in turismo procreativo». Oggi una legge prova a tutelare donne e bambini dalle conseguenze che anni e anni di mercimonio hanno inciso sulla carne viva di povera gente. E che, come dimostra l’arresto del trafficante malese, continua a svelare i suoi orrori: embrioni in valigia, ramificazioni in più paesi, cliniche sotto indagine. Ecco dove porta la via per il paradiso lastricata da “atti d’amore”, “progresso”, “libera scelta”.

Caterina Giojelli | Tempi.it

Foto Ansa

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