C’è più gioia nel dare che nel ricevere, Intervista a Sefora Motta

Abbiamo il piacere di pubblicare l’intervista esclusiva Sefora Motta fondatrice dell’organizzazione umanitaria no-profit “Helping People to See”.

Sefora Motta è una filmmaker, scrittrice e autrice di documentari. Nasce a Catania nel 1990. La sua adolescenza è segnata da profonde esperienze umanitarie con la “Croce Rossa Italiana”. Finito il Liceo studia “Cinema e Televisione”, specializzandosi nell’area documentaristica a Milano. Dal 2010 viaggia nel Sud del mondo (Africa, America Latina, Sud-est asiatico, Balcani) lavorando a fianco d’importanti organizzazioni non governative dislocate in tutto il mondo. Dopo aver legato importanti e sincere corde d’amore con alcuni abitanti della Tanzania, nel 2015 fonda HPS (Helping People to See) con l’intenzione di creare un movimento missionario fondato sulla promozione della “cultura dell’ultimo”, sancendo così l’inizio di un percorso di sostegno e cooperazione nel terzo settore.  Oggi, l’organizzazione attiva campagne di sensibilizzazione su tutto il territorio europeo e mira a ispirare una concreta risposta per contribuire alla diminuzione della povertà e dell’ingiustizia nei paesi del Sud del mondo.

In questi anni stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi”. Secondo lei, a questo punto, bisogna “accontentarsi” di conquistare una pace “a pezzi”? Ci racconta un pezzettino di pace di HPS?

Vedi, io credo che la pace non sia assenza di guerra, la pace si  fa, esattamente come si fa la guerra. Non posso essere in pace col mondo, se mi limito semplicemente a non creare problemi a nessuno. Sono in pace col mondo se mi adopero attivamente per la pace con azioni di prossimità e di alterità. La pace non è il silenzio dei rumori di guerra. La Pace è fatica, la fatica dell’amore. 

Con HPS, quello che cerco di fare è proprio questo: contribuire con la mia piccola vita, alla diminuzione dei fenomeni della povertà e dell’ingiustizia, e in qualche modo, creare, nel nostro mondo la consapevolezza che i tesori più grandi sono sempre tenuti in ostaggio dalle tenebre.

Pace e non violenza, sono stati due temi più volte affrontati da Martin Luther King e ripresi qualche giorno fa all’Internetional Peace Festival di Palermo di cui lei è stata ospite. Un valore trasversale, un precetto religioso o una scelta consapevole e laica?

Come sai, noi operiamo in villaggi remoti, dove sono ancora in vigore rituali di passaggio atroci, fazioni religiose estremiste…in alcuni casi può non essere sicuro parlare di Fede in Gesù. Parlare della Matrice che in me ha messo in moto tutto, vi assicuro che non è per niente semplice.

Chiedo sempre al Signore quella delicatezza tipicamente sua, per muovermi con saggezza in questi luoghi. Gli chiedo spesso quale sia il confine fra la paura e la fede. Tra il laicismo delle opere buone e l’annuncio della mia fede in Lui. Da una parte brucia dentro di me il desiderio di annunciare sopra i tetti, il nome di questa Speranza che ha ispirato in me tanta affezione per questi popoli dimenticati dai potenti, dall’altra parte sento la saggezza bussare timida e che tenta di trasformarmi da un”arrotino religioso” a un essere umano docile e silente annunciatore di speranza. Mentre il primo vaga disorientato per le vie della città, distaccato dalla gente, e con un megafono in mano, con la pretesa di annunciare o vendere una Verità, unica e inconfutabile, la seconda sceglie la parte migliore, sceglie di stare con la gente. Si mimetizza fra le culture per studiare la bellezza della vita, e a piedi nudi si sporca con loro, diventando così credibile testimone vivente di un amore tanto grande da aver scelto l’altro ancor prima di scegliere se stesso.

Non ha bisogno di urlare, l’amore sarà sufficiente da ispirare domande, domande che in fondo, possono anche non essere fatte. Mai le parole di Gandhi sono state più adatte: “Una rosa non ha bisogno di predicare. Si limita a diffondere il proprio profumo”.

La violenza è un attentato all’integrità fisica e mentale, quindi alla dignità umana. I suoi occhi hanno visto barbarie durante le sue esperienze umanitarie?

Purtroppo, sì. Ho lavorato come video-documentarista per “Release International” per raccontare le storie delle torture e le barbarie di alcune frange estremiste buddiste. Chiese bruciate, Pastori picchiati e torturati, per il fastidio e il prurito spirituale scatenato dall’aver professato l’improfessabile: Gesù.

Per non parlare delle bambine nei villaggi in cui operiamo in Tanzania, che scappano dal proprio villaggio per sottrarsi ai diversi rituali di passaggio (come la clitoridectomia e l’infibulazione, taglio parziale o totale dei genitali e cucitura degli stessi).

Nel cammino tracciato dal messaggio evangelistico dall’apostolo Paolo il rispetto e l’amore per gli altri e soprattutto per gli ultimi dovrebbe significare pur qualcosa per i governanti “cristiani”. Quantomeno dovrebbe obbligare a superare ogni miopia per non restare indifferenti alle tragedie umanitarie troppo spesso ancora ignorate. Cosa ne pensa?

Credo che difficilmente un governo, o una fazione politica riesca a essere scevra da interessi propri. Per questo io credo in un Regno super-partes. Un Regno che non cerca unicamente l’interesse della propria famiglia, della propria casa, della propria nazione, e della propria cultura. Il Regno del Creatore dei Cieli e della Terra è sopra di tutti gli altri regni. Questa è l’unica cultura nella quale non è ammessa alcuna indifferenza.

HPS da qualche anno promuove la “cultura dell’ultimo” combatte la guerra e i suoi effetti, la fame, le malattie, per migliorare le condizioni di vita delle persone. Attività umanitarie come questa hanno un valore politico o anche religioso?

Le attività umanitarie, sono “umanitarie”, appunto. Cioè rivolte al bene dell’essere umano. Io credo che tutto ciò che si fa per l’umanità, consapevolmente o meno, ha un valore essenzialmente “religioso”. Letteralmente quindi “relega, crea relazione, unisce” a Dio. Quanto alla politica, Gesù di Nazareth, per quanto mi riguarda, è stato il più grande e vero politico della storia. Aveva a cuore la “polis” appunto, la città, il popolo, le vie scoscese del quartiere, tutta la ragione montuosa e oltre. Era interessato ai problemi della società. Ha proposto il Regno di Dio, una comunità alternativa all’impero romano corrotto in un cui l’emarginato, il lebbroso, l’indebitato si sentivano accolti, amati, perdonati.

Sentiamo spesso storie di missionari o volontari sequestrati da fazioni estremiste. Hai mai provato paura il giorno prima della partenza dall’Italia?

Come ti dicevo, a volte, tra le paure che s’insinuano e la passione che mi brucia nel petto mi chiedo: “Ma ne vale davvero la pena?”. Poi mi rispondo cosi: “Quanto costa vedere la gioia in quella gente che ricomincia a danzare la vita? Che prezzo ha vedere quegli sguardi che sembrano rivelarci la sostanza della quale siamo fatti? Quel momento in cui senti che siete stati insieme fin dal luogo di origine, che siete della stessa materia umana, delle stesse onde, che portate dentro lo stesso istinto. Che prezzo ha quel momento in cui offri e ricevi la tua verità?” Io sto lentamente imparando che nella matematica di Dio la privazione è realmente guadagno, l’umiliazione è Gloria e l’arresa è trionfo. E sì, l’amore costa troppo, l’amore costa tutto. Eppure, come le gocce che scavano lentamente la pietra, questa voce timida dentro continua a suggerirmi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, e che quest’Amore è l’unica impresa al mondo nella quale più si spende più si guadagna. Dite che ne vale ancora la pena?

Qual è il ruolo dei missionari stranieri nel vostro Paese?

I nostri missionari e partner locali (uno fra questi YWAM) sono uomini e donne autoctone che hanno vissuto in prima persona la povertà e l’ingiustizia. Alcuni di loro, da piccoli, hanno mangiato mattoni, per la fame. Oggi collaboriamo attivamente con loro per raggiungere insieme diversi villaggi remoti, assenti nelle nostre mappe di geolocalizzazione del nostro pianeta per creare progetti di sviluppo: costruzioni di pozzi, reti idriche, costruzione scuole…. Il ruolo dei nostri missionari è di supervisionare e mantenere attivi anche in nostra assenza, i progetti di sviluppo portati a termine da HPS.

Come leggete il vostro impegno in Tanzania?

Leggo il nostro impegno in Tanzania e nei paesi del sud del mondo come una sorta di “caccia al tesoro”, principalmente un tesoro per la mia vita e in secondo luogo cerco di trasferirlo agli altri. Ho trovato in questi luoghi di morte, la vita; dal letame la bellezza, nella miseria l’amore; nella tragedia la compassione. La cosa straordinaria è che mentre trovo il tesoro la qualità della vita di questi popoli cambia per sempre. Mentre io trovo loro, io trovo me stessa.

Quali sono le prospettive di futuro per HPS?

Ad ogni giorno il suo affanno, un noto saggio direbbe! Ho imparato a fare grandi progetti, e allo stesso tempo essere pronta a rinunciarvici. Sono disposta a rinunciare ai miei sogni per abbracciare quelli che di Dio a per me. Fra questi sogni c’è il desiderio di creare un centro di formazione missionaria in Italia, un orfanotrofio in Tanzania, una clinica mobile per raggiungere sistematicamente diversi villaggi, e molto altro… Pregate per me, per noi affinché Dio ci dia saggezza e coraggio.

Piter Proietto

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