C’è vita nell’universo? Troppo presto per dirlo

C’è una stella, fra i milioni e milioni di stelle dell’immenso cielo attorno a noi, che porta il nome poco romantico di 2MASS J23062928-0502285. Fortunatamente ne ha un altro, Trappist-1, che deriva dal telescopio che l’ha scoperta, appunto Trappist, piazzato nell’Osservatorio di La Silla, in Cile, ma prodotto e controllato orgogliosamente in Belgio. Tant’è che il nome è volutamente un omaggio all’ordine dei monaci cistercensi della stretta osservanza, i trappisti, la storia di una delle cui grandi famiglie si sovrappone a quella della stessa nazione belga, proprio a sottolineare il fatto, anche laicamente, che il Belgio di oggi sarebbe nulla senza la tradizione trappista.

Trappist-1, la stella, è una nana rossa che ha solamente l’8% di massa del nostro Sole e più o meno un millesimo della sua brillantezza. Per questo è appena in grado di comportarsi da Sole, cioè d’innescare quella fusione che trasformando l’idrogeno in elio produce residualmente un bene preziosissimo: l’energia (luminosa).

Ebbene, la notizia che ha fatto il giro del mondo è la scoperta del sistema di sette pianeti che rivoluzionano attorno a Trappist-1, un sistema per questo paragonato a quello solare di cui fa parte la Terra e quindi reputato adatto alla vita aliena. Forse. Il sito specializzato The Extrasolar Planets Encyclopaedia, mantenuto dall’Osservatorio astronomico di Parigi e fondato nel 1995, censisce alla virgola tutti gli “esopianeti”, ossia i pianeti che, come appunto quelli rivoluzionanti attorno a Trappist-1, non fanno parte del nostro sistema solare: sono 3583 sparpagliati in 2688 sistemi, più altri 2410 candidati e 211 controversi. Solo la famosa Missione Kepler della NASA per la ricerca di pianeti simili alla Terra, partita il 7 marzo 2009, ne ha scoperti – ha detto la Nasa il 10 maggio 2016 – 1284 confermati al 90% su un totale di 4302 candidati. La stessa Nasa calcola dunque statisticamente che nell’universo possano esistere 100 miliardi di esopianeti e quelli di tipo tellurico, cioè comparabili alla Terra per composizione (rocce e metalli), dimensioni e distanze dal loro sole, potrebbero essere 40 miliardi, come documenta una ricerca accademica basata proprio sui dati raccolti dalla Missione Kepler. Cos’hanno dunque di eccezionale i sette pianeti del sistema Trappist-1 per essere più adatti alla vita? Nulla.

Qualcuno obietta che l’eccezionalità è il loro numero. Eppure, dei 2688 sistemi solari noti in cui sono sparpagliati i 3582 esopianeti finora censiti ufficialmente, 603 sono sistemi multipli, vale a dire stelle con almeno due pianeti. 280 ne hanno solo due, ma tutti gli altri di più, anche se nessuno più del nostro che ne ha otto. Il sistema Trappist-1 è dunque quello numericamente più prossimo al nostro, ma non è l’unico. Sono infatti noti altri tre sistemi a sette pianeti: Kepler-90, HD 10180 e HR 8832.

Ma, si risponde, il sistema Trappist-1 è “vicino”. 39,5 anni luce. Ora, se potessimo viaggiare alla velocità raggiunta dalla luce nel vuoto, poco meno di 300mila chilometri al secondo, impiegheremmo quasi quarant’anni ad arrivarci. Ma noi non viaggiamo affatto alla velocità della luce. Il veicolo spaziale che detiene il record è la sonda della Nasa Juno, lanciata il 5 agosto 2011 verso Giove: 265mila chilometri l’ora. Calcolare il numero di anni necessari a raggiungere Trappist-1 a questa velocità fa girare il capo. Tra l’altro, il sistema HR 8832 è “vicino” la metà, 21 anni luce.

L’eccitazione si sposta allora sul fatto che alcuni tra i nuovi esopianeti scoperti, chiamati Trappist-1 “b”, “c”, “d”, “e”, “f”, “g” e “h” (dal più vicino al più lontano), orbitano nella “fascia di abitabilità”, cioè a una distanza dalla loro stella che consente l’esistenza dell’acqua allo stato liquido. Ma è un modello teorico. Nel nostro sistema solare, per esempio, Venere e Marte, sono nella “fascia di abitabilità” quanto alla possibilità di avere acqua liquida, ma non sono né abitabili né abitati. Perché? Perché altre condizioni, oltre l’acqua, rendono l’abitabilità presunta un’inabitabilità concreta. Degli otto pianeti che compongono il nostro sistema solare, solo tre (Marte, Venere e Terra, a cui si aggiungono il nostro satellite Luna e il pianeta nano Cerere) sono nella “fascia di abitabilità”, ma solo uno è abitabile e abitato. (Venere ha una pressione atmosferica troppo elevata e un effetto serra tale da renderne la temperatura superficiale insostenibile; Marte ha una pressione atmosferica troppo debole per trattenere significativamente aria e acqua; la Luna non ha atmosfera e Cerere ne ha una inservibile).

Proprio il fattore acqua è però quello su cui si punta, come già fatto per altri esopianeti “simili alla Terra” e persino per Marte. S’insiste infatti nel dire che i pianeti Trappist-1 “e”, “f” e “g” posti in “fascia di abitabilità” le condizioni che ipoteticamente consentono la presenza di acqua liquida comunque le hanno. Escluso di poterci andare, lo si verificherà solo quando avremo strumenti adatti. Ammettiamo però che quegli esopianeti abbiano davvero acqua allo stato liquido, e pure tutte le altre condizioni di abitabilità. Il discorso sulla vita sarà comunque sempre tutt’altro. Perché l’acqua è certamente la condizione necessaria a nutrire la vita, ma non è affatto la condizione sufficiente a farla sorgere. Se assieme all’acqua su quegli esopianeti scoprissimo la vita, significherebbe che avemmo trovato ben altro che la mera acqua. Perché di suo, l’acqua, come tutta la materia, è sterile, inerte, non genera spontaneamente la vita. Di questo “piccolo” particolare non vi è però traccia nell’euforia generale per la scoperta del sistema planetario Trappist-1.

di Marco Respinti | Lanuovabq.it

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