Charlie cittadino Usa: messaggio importante

Martedì, negli Stati Uniti, è arrivato il via libera da una commissione della Camera per concedere la residenza permanente a Charlie Gard e ai suoi genitori Chris e Connie, nella speranza che questa mossa sia il preludio a un eventuale trasferimento per provare il trattamento sperimentale. La proposta è passata all’unanimità, con la votazione di un emendamento presentato dalla repubblicana Jaime Herrera Beutler nell’ambito di un progetto di legge più vasto su immigrazione e sicurezza nazionale. Si tratta perciò solo di un passaggio preliminare, che per diventare effettivo necessiterà dell’approvazione sia dell’aula della Camera che del Senato. Se il progetto di legge contenente l’emendamento della Beutler dovesse passare, Charlie e i suoi genitori potranno acquisire appunto lo status di residenti permanenti e ottenere perciò la cosiddetta green card, che è rinnovabile dopo dieci anni e dà il diritto di risiedere e lavorare negli Usa (con qualche limitazione, legata a ragioni di sicurezza, per alcuni tipi di lavoro).

Non è stata quindi concessa la cittadinanza, come alcuni giornali hanno erroneamente riportato, perché prima bisogna ottenere la green card e poi devono passare almeno cinque anni affinché uno straniero, che vive in modo permanente negli Stati Uniti, possa fare richiesta per diventare cittadino americano. E, giova ripeterlo, siamo ancora nella fase precedente all’approvazione da parte dei due rami del Congresso, mentre parte della stampa britannica e – a ruota – quella italiana aveva creduto che la proposta favorevole alla famiglia Gard fosse già legge, probabilmente perché tratta in inganno da un tweet del repubblicano Jeff Fortenberry in cui non si specificava il passaggio in commissione.

Detto questo, dagli Usa è arrivato un segnale politico importante e va detto che l’emendamento della Beutler non è stato l’unico atto a difesa di Charlie, visto che nei giorni scorsi altri membri del partito repubblicano hanno presentato progetti di legge indipendenti con lo stesso fine, oltre a una risoluzione con cui si incoraggiano i tribunali del Regno Unito a rispettare la libertà di cura del piccolo di undici mesi. Chiaramente, per quanto da mesi si stia commettendo un’enorme ingiustizia nei confronti di Charlie e dei suoi genitori, la concessione della green card in sé non sbloccherebbe la situazione, poiché per liberare il bambino dal Great Ormond Street Hospital e consentirgli di provare il trattamento sperimentale negli Stati Uniti o altrove rimane decisivo il ruolo delle corti britanniche. Così ha spiegato il giudice Nicholas Francis nell’udienza di venerdì 14, chiarendo che avrebbe accolto con favore ogni accordo tra le parti ma rivendicando che per il trasferimento di Charlie serve una sua autorizzazione. Al di là delle differenti interpretazioni legali, è ovvio che il benestare al trasferimento potrebbe arrivare molto più facilmente se il Gosh abbandonasse la sua richiesta oltranzista di staccare il supporto vitale, che ha di fatto avviato la battaglia giudiziaria contro i genitori.

Il segnale proveniente dagli Stati Uniti, che fa seguito all’offerta del dottor Michio Hirano di curare Charlie e alla stessa disponibilità del presidente Trump a fare il possibile per aiutarlo, serve comunque a mantenere alta l’attenzione sulla vicenda e potrebbe facilitare un accordo in direzione del suo vero miglior interesse, ossia vivere. Come ha spiegato la Beutler, l’emendamento “è per mandare un messaggio. Se il Regno Unito dovesse decidere di liberare questo bambino, noi lo accoglieremmo a braccia aperte. Questo emendamento velocizzerebbe il processo, darebbe un taglio alla burocrazia, e faciliterebbe Charlie a ricevere il trattamento sperimentale negli Usa che i suoi genitori e gli specialisti credono valga la pena provare”.

Nel frattempo, il Daily Mail ha rivelato che l’incontro con l’esperto del Bambin Gesù e Hirano non ha convinto i dottori del Gosh a cambiare idea. Connie e Chris hanno diffuso una foto, scattata venerdì, in cui Charlie sembra guardare verso un giocattolo, un fatto che secondo i genitori smentirebbe quanto sostenuto fin qui dai medici sulla cecità del bambino e che è uno degli assunti, assieme al danno cerebrale e alla presunta sordità, su cui si basa la richiesta di staccare la spina. Anche se così fosse, non sarebbe certo una giustificazione valida per porre fine a una vita umana. Insomma, la battaglia di Charlie continua.

di Ermes Dovicov | Lanovabq.it

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