Condannato per tre omicidi di primo grado, un omicidio preterintenzionale e oltre duecento infrazioni della legge che regola l’aborto in Pennsylvania. Ma convinto di essere innocente. Questo è Kermit Gosnell, così come appare nel libro “Gosnell’s Babies”, il deposito delle memorie che il dottore ha consegnato a Steve Volk, reporter che ha seguito il processo. Il medico oggi è dietro le sbarre dopo una condanna che ha portato alla luce una realtà difficilmente censibile, ma sicuramente diffusa: quella degli infanticidi commessi laddove si praticano aborti in età gestazionale avanzata. Un bambino che sopravvive all’interruzione di gravidanza, un paio di forbici e poi lo snipping, così Gosnell chiamava la recisione della colonna vertebrale all’altezza del collo del povero neonato.
Nel libro emergono anche dettagli della vita privata del medico. Il giovane Kermit non voleva studiare medicina e neppure aveva particolari inclinazioni abortiste: «Non ho scelto l’aborto, è l’aborto ad avere scelto me», ricorda Gosnell a proposito del primo intervento effettuato su una signora incinta del quarto figlio. La donna chiese al giovane vicino di interrompere quella gravidanza indesiderata, che le avrebbe causato non pochi problemi economici e molto stress. Gosnell era titubante, ma, spaventato dal fatto che la donna potesse tentare di abortire da sola, acconsentì. Da allora, forse, non molto è cambiato nei decenni di attività del medico. Perché il filo conduttore del suo abortismo sta proprio nella convinzione di fare un servizio non solo alla donna, ma anche al bambino. Fino a spingersi a sperimentare nuove metodologie. Nel 1972 a Gosnell fu chiesta la disponibilità per provare la nuova invenzione del dottor Karman, il tristemente celebre ideatore dell’omonimo metodo che consiste nell’aspirazione del feto con una cannula inserita nell’utero. Questa volta si trattava di lame di plastica caricate a molla, sigillate con un gel che si sarebbe sciolto col calore dentro l’utero. A nessuna delle quindici donne scelte fu detto che si trattava di un esperimento. Nove di loro furono gravemente ferite dal marchingegno e Karman subì un processo, mentre Gosnell volò alle Bahamas in attesa che si calmassero le acque.Gosnell si dichiara tranquillo, senza rancore per alcuno, felice di non aver fatto la stessa fine di George Tiller, il medico abortista assassinato nel 2009 durante una funzione nella chiesa luterana che frequentava. Volk ricorda nel libro che quella che emerge dalle 261 pagine della documentazione processuale è la figura di un dottore immerso nella scenografia horror della clinica al 3801 di Lancaster Avenue, a Philadelphia: collaboratori sottopagati senza licenza, stanze fatiscenti, pavimento e mura sporchi di sangue. Mura che ancora celano segreti che neppure il processo ha saputo svelare. Quanti bambini – oltre ai tre per i quali sono state raccolte prove sufficienti – sono stati uccisi? E perché Gosnell ad alcuni di loro tagliava i piedi per portarseli a casa, dove sono stati trovati durante una perquisizione?
Episodi del genere non offuscano la fama del «buon dottore», che Volk riscontra nelle parole di chi da sempre ha abitato vicino al medico. Sono molti gli intervistati dall’autore del libro che spendono parole di stima e bei ricordi legati al dottor Gosnell. Quello che ne esce dipinto non è un Dottor Jekyll e Mister Hyde – l’impeccabile vicino di casa e il mostro abortista – ma un personaggio molto coerente: esemplare con chi gli sta accanto,
dedito, a suo modo, alle donne che si rivolgono alla sua clinica, sereno quando gli investigatori si recano a casa sua durante le indagini e Gosnell si propone di preparare loro la colazione prima di mettersi al pianoforte a suonare Chopin. «Non mi pento di quello che ho fatto, ero un cristiano e lo sono ancora. […] Il più grande peccato è il dolore di portare a termine una gravidanza indesiderata», racconta Gosnell a Volk.
Tutto sommato, quella di Gosnell è una visione che si potrebbe definire lucida:
perché, si legge nel libro laddove si invita a riflettere sul caso, la differenza tra un medico compassionevole e un omicida è solo questione di «geografia». Uccidere un bimbo alla ventiquattresima settimana di gravidanza dentro l’utero è perfettamente legale, mentre sgozzare lo stesso bambino un minuto dopo la nascita è un reato che merita l’ergastolo. E che dire dei mezzi con cui lo si fa? L’uso delle forbici da parte di Gosnell ha fatto di lui un mostro, ma se al bambino vitale avesse garantito tutte le cure del caso fin quando non si fosse spento naturalmente, nessun giudice avrebbe potuto condannarlo. Lo stesso vale per i limiti entro i quali l’aborto è legale. È stato lo stesso medico a presentare, durante il processo, la documentazione circa aborti effettuati pochi giorni dopo la ventiquattresima settimana di gravidanza, che è l’età gestazionale massima stabilita dalla legge vigente in Pennsylvania.
«Perché?», chiede Volk. «La legge è vaga», risponde Gosnell, che sostiene che ventiquattro settimane e tre giorni sia arrotondabile a ventiquattro settimane precise. Praticare l’aborto per Gosnell era l’obiettivo da raggiungere, partendo dalla risposta ad una semplice domanda: «Se questa donna fosse mia figlia, vorrei che abortisse?». E la risposa era sempre sì, e quel limite temporale doveva essere in qualche modo aggirato (l’ecografo di Gosnell, è emerso dal processo, a volte veniva tarato in modo che il risultato fosse al di sotto del limite di legge). Non tanto per paura della legge, ma perché in fondo non si può negare neppure stavolta la terribile logicità di quanto accadeva in quella clinica: perché quel bambino che fino a ieri poteva essere eliminato, oggi è divenuto titolare del diritto alla vita?
Gosnell definisce la sua militanza abortista come una «guerra alla povertà», un concetto che spiega tutto quanto. Per il medico, uccidere un bimbo indesiderato è la risposta alle sofferenze che lo avrebbero atteso una volta venuto al mondo.
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