
C’era una casa, costruita per essere un rifugio. Una casa semplice, vera, fatta per i figli. Dentro non si chiedeva nulla, si riceveva. Non si misurava la purezza, si abbracciava la debolezza. Ogni stanza raccontava una storia d’amore tra il Padre e i suoi figli, e la porta era sempre aperta.
Ma col tempo qualcosa cambiò. Alcuni servi iniziarono a comportarsi da padroni. Presero le stanze e ci misero banchi, tabelle, regole, biglietti d’ingresso. Iniziarono a dire: “Così si entra”, “Così si resta”, “Così si merita”. Il salone della grazia fu trasformato in un ufficio ministeriale. La cucina, dove si spezzava il pane senza misura, fu chiusa da una tenda con scritto: “Solo per chi è in regola”. Tutto divenne condizionato, contrattualizzato, calcolato.
Eppure, in mezzo a quel traffico, ogni tanto si sentiva un eco… un profumo… come se il Padre non fosse mai andato via del tutto.
Poi, un giorno, entrò il Figlio.
Non entrò come uno spettatore, né come un cliente. Entrò come chi sa di essere a casa sua.
Guardò i tavoli, i programmi, gli altari improvvisati del merito e del controllo. Si avvicinò con passo deciso, e cominciò a rovesciare ogni cosa. Ma non con rabbia cieca. Con autorità amorevole. Con quella forza che non urla per sfogarsi, ma per liberare.
Ribaltò le sedie dei religiosi che avevano preso possesso della casa. Cacciò fuori i mercanti di obbedienze condizionate. Ruppe i cartelli che dicevano “prima cambia, poi entra”. Strappò i regolamenti appesi alle porte, e scrisse con un dito sul muro: “Figli, tornate.”
Qualcuno gridò: “Ma così si distrugge l’ordine!”
Ma il Figlio rispose: “Questo non è ordine. È oppressione travestita. Mio Padre non fa commercio con l’amore. E questa è la sua casa.”
Allora si voltò verso l’ingresso e chiamò:
“Venite. Tutti. I dimenticati, i feriti, gli esclusi. La casa è riaperta. La tavola è pronta. Il prezzo è stato pagato. E il Padre vi sta aspettando.”
E lentamente, uno ad uno, i figli cominciarono a tornare. Alcuni ancora con le catene ai polsi, altri tremanti. Ma nessuno fu respinto.
Il Figlio li accolse, li fece sedere, e riportò al centro ciò che si era perso: la gioia della comunione, la libertà del perdono, la semplicità dell’amore vero.
E da quel giorno, nella casa non si sentì più il rumore del commercio, ma il suono più dolce che ci sia: la risata dei figli tornati a casa.
Questa parabola rappresenta l’opera di Gesù quando purificò il tempio, ma anche ciò che la grazia fa oggi quando entra in una vita, in una chiesa o in un sistema contaminato dal legalismo. Il Figlio – Cristo – non è venuto per fare accordi con i mercanti spirituali, ma per scacciarli, perché il Padre non traffica in amore, perdono o benedizioni. La casa di Dio non è un luogo di merito, ma di misericordia.
Quando la grazia entra, rovescia tutto ciò che soffoca i figli: il controllo, la paura, il culto della performance, le pretese religiose. E riapre la casa. Non ai perfetti, ma ai veri. Non a chi paga, ma a chi crede. Perché la grazia non sistema il mercato: lo chiude. E al suo posto prepara la tavola.
Marcello Donadio
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