Coronavirus: la crisi è innanzitutto spirituale. C’è solo una cura

Il Coronavirus sembra avere inglobato da un anno la quasi totalità delle esistenze, stando almeno a tv e quotidiani. Ma ci ricordiamo che Gesù è la nostra speranza?

Specialmente in questo periodo di festività, abbiamo assistito a una marea montante di consigli su come vivere “spiritualmente” il Natale e le feste collegate. Dai politici agli intellettuali, o agli attori, i cantanti o qualsiasi altro personaggio pubblico, si sono sentiti in dovere di spiegare come vivere le festività nell’era del Covid. A detta di diversi commentatori, si tratta di un segnale che testimonia il fatto che quella che stiamo vivendo non è solamente un’emergenza di tipo sanitario, ma anche e soprattutto una crisi di carattere spirituale.

Davanti al Coronavirus, la Speranza non è di questo mondo

È evidente che i consigli in questione non abbiano sortito alcun effetto sperato, nonostante magari le buone intenzioni di chi li ha pronunciati. Soprattutto, sembra che non abbiano aiutato quanti tra la popolazione continuano ad essere sfiduciati e spaventati per il futuro. Per la semplice ragione che la speranza non viene di certo da ragionamenti terra terra, materialisti, sociologici o altre cose di questo genere.

La speranza, sotto certi aspetti, non è di questo mondo perché non lo è la salvezza. Sono una risposta che si origini nella trascendenza può risolvere le paure di chi vive sulla propria pelle i problemi legati all’immanenza. Non serve ripeterci “tutto andrà bene“, senza capire dove sia il vero Bene.

“Senza una radice nel vero Bene si viene spazzati via”

“È bello battere le mani, è bello cantare dai balconi dicendosi che andrà tutto bene, ma un bene senza una radice nel Bene viene spazzato via come una foglia secca al primo refolo di vento”, scriveva alcune settimane fa Susanna Tamaro sul Corriere della Sera. Il punto è che di fronte a emergenze così gravi e improvvise, come una pandemia, non si può rispondere solamente con norme, decreti o misure analoghe.

Un’esperienza come la pandemia, che ribalta all’improvviso la propria vita cambiandone gran parte degli aspetti e delle caratteristiche, ha bisogno di una risposta altrettanto totale, intensa, complessiva. Non si può pensare di dovere rinunciare per mesi e mesi alla propria libertà e accontentarsi di una frasetta da Bacio Perugina in cui ci viene detto che tutto andrà bene.

L’emergenza del Coronavirus invita a riscoprire la Verità

L’emergenza del Coronavirus ci invita quindi a riscoprire una verità che da sempre è di fronte ai nostri occhi, ma che ancora oggi facciamo fatica a vedere. Che cioè l’uomo non è sufficiente a sé stesso, ma che ha bisogno di ben altro per raggiungere la vera felicità. Per saziare il desiderio di eterno insito nel cuore di ciascuno, bisogna alzare gli occhi al cielo, nella direzione delle stelle, e scegliere di accettare quel vuoto che ci distanzia come parte integrante del nostro essere, che non verrà di certo mai colmato da alcuna legge scritta.

La società moderna infatti si fonda sul presupposto che quel vuoto vada colmato di tutto il possibile, che sia il consumismo esasperato o il piacere senza freni, una vita senza doveri o una libertà senza vincoli. E quando si realizza che non è così, che nulla che appartiene a questa terra colmerà mai quel desiderio, allora si comincia a puntare il dito contro chiunque capiti a tiro.

La vera emergenza è non avere vissuto in Gesù fino ad ora

Allora, forse, una volta realizzato tutto ciò, si comincerà a capire che la vera emergenza, sanitaria e spirituale, è proprio il non averlo compreso prima. E non avere dato priorità al fatto che questo vuoto potrà essere colmato solamente da una Presenza, un Uomo che ci accompagna in ogni momento della nostra vita, e nel percorso della nostra esistenza. Perché è Lui stesso il percorso, la via che porta alla vera salvezza. 

Di fronte quindi alla seconda ondata in cui si è immersi da settimane, e leggendo di chi già preannuncia l’arrivo di una terza, è necessario non continuare a fare lo stesso errore e riporre ogni nostra debolezza, paura o incertezza nelle mani del Signore. È necessario cioè recuperare la dimensione religiosa dell’esistenza di fronte al male che non possiamo fermare con le nostre mani.

“Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»” (Gv 6, 67-69).

Francesco Gnagni

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