CURDI TRA SEQUESTRI DI PERSONA IN BASHUR E CONDANNE IN ROJHILAT

Sembrerebbe proprio che il Bashur (il Kurdistan del Sud, entro i confini iracheni), oltre a venir periodicamente invaso e occupato dai militari di Ankara, sia divenuto anche “terreno di caccia” per le spie e i servizi segreti turchi (e presumibilmente anche per quelli iraniani) che sequestrano, torturano e talvolta eliminano impunemente militanti curdi.

Naturalmente non sono i soli. In materia di sequestri di persona anche l’esercito regolare turco non va tanto per il sottile.

In questi giorni altri due giovani curdi sono stati arrestati nei pressi di Sîdekan (governatorato di Erbil) e portati – ci si chiede con quale parvenza di legalità – in territorio turco. Accusati di essersi trovati “senza autorizzazione in una zona militare”, in realtà i due cugini stavano semplicemente portando al pascolo i loro cavalli. Almeno per ora nessun commento, tantomeno obiezioni, da parte del Governo regionale del Kurdistan (KRG). Inquietante sapere che probabilmente i due si trovano ora nella base militare di Derecik per essere “interrogati”.

Soprattutto pensando a quanto, quasi contemporaneamente, accadeva – sempre nel Bashur – a un militante curdo originario di Serdeşt (città del Rojhilat, il Kurdistan dell’Est, entro i confini iraniani), Ehmed Bêxem. Conosciuto anche come Heval Kejwan, aveva combattuto con le Unità di difesa del popolo (YPG) contro l’Isis a Kobanê. Il suo cadavere è stato rinvenuto il 31 dicembre a Hewler (Erbil) con evidenti segni di tortura a due giorni di distanza dalla sparizione.

Stando a quanto dichiarato a un’agenzia curda da una fonte che per ragioni di sicurezza personale vuole restare anonima “sul corpo di Ehmed c’erano segni tortura. Tutto il corpo era ricoperto di contusioni e sembrava fosse stato torturato a morte”. Così come sembrerebbero confermare alcune immagini, due foto, scattate prima che l’uomo venisse sbrigativamente sepolto a Qeladize.

Naturalmente non si può attribuire con assoluta certezza, automaticamente, alla Turchia la responsabilità di questo delitto. In Bashur, come si diceva, operano vari soggetti più o meno coperti: servizi, spie, collaborazionisti, criminalità comune, trafficanti…

Per cui non si può escludere nulla. In altre analoghe sparizioni finite tragicamente si intravedeva la longa manus di Teheran. Potrebbe questo essere anche il caso di Ehmed Bêxem viste le sue origini.

Intanto (stando al rapporto annuale dell’organizzazione di difesa dei diritti umani Hengaw) il regime iraniano nel corso del 2021 avrebbe assassinato almeno una cinquantina di kolbar (spalloni, portatori, frontalieri; in genere costretti dalla mancanza di lavoro) curdi sulle frontiere ferendone un altro centinaio. Rispettivamente 52 e 111 i casi accertati. Tra le vittime anche alcuni minorenni.

Un altro kolbar, Soroush Rahamani, si è suicidato in novembre dopo che le guardie iraniane avevano ucciso i suoi muli con cui trasportava merci oltre frontiera. Il ragazzo, quindici anni di età, lavorava per poter pagare le cure al padre ammalato di cancro.

Inoltre, forse per non sfigurare di fronte alla Turchia in campo repressivo, Teheran ha condannato a ben cinque anni Zara Mohammadi, una insegnante volontaria di curdo. Ricordo che in Iran la lingua curda può essere parlata dai curdi, ma non insegnata.

Già perseguitata in passato dal regime e anche imprigionata (sia per aver insegnato il curdo, sia in quanto ritenuta esponente del Partito socialista) Zara era stata condannata a dieci anni dal tribunale “rivoluzionario” di Sînê (Sanandaj). La pena è stata ora ridotta a cinque anni dalla Corte d’appello.

Ma parlando di Iran e Turchia non è possibile scordare un altro dramma, quello dei rifugiati afgani che cercano di attraversare il confine tra i due stati, nonostante la zona sia alquanto impervia e ricoperta di neve. In questi primi giorni dell’anno, l’ennesimo dramma. Una donna che tentava di raggiungere la frontiera con i suoi due bambini di 8 e 9 anni è morta di freddo nei pressi di un villaggio iraniano (Belesur). La donna aveva dato i suoi calzini ai bambini per proteggerne le mani dal freddo ed è stata ritrovata con ai piedi dei sacchetti di plastica. Anche i bambini (posti in salvo da alcuni abitanti di Belesur) risultavano assiderati e con le estremità in avanzato stato di congelamento.

Non si tratta di un caso isolato. Secondo i dati raccolti dall’Associazione dei Diritti dell’Uomo (IHD) e da Sherat (Associazione di Ricerca sulle Migrazioni) di Van, solo negli ultimi tre anni almeno una cinquantina di rifugiati (49 i casi accertati) sono morti in circostanze analoghe, per ipotermia. Tra quelli che erano riusciti ad attraversare la frontiera, una novantina (88 i casi accertati) sono poi sono annegati nel lago Van. Altri 42 sarebbero deceduti per vari incidenti (non solo stradali) e almeno uno era stato ucciso con arma da fuoco.

In maggioranza si trattava di afgani e spesso di donne.

Non credo sia il caso di chiedersi come mai siano così numerose le donne afgane in fuga dall’Afghanistan dopo la presa del poter da parte dei talebani.

Gianni Sartori

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