Nelson Zavala, già candidato Presidente della Repubblica ecuadoregna alle scorse elezioni politiche, è stato bollato come “omofobo” dalla giustizia del suo Paese, e conseguentemente condannato al pagamento di una multa di 3.180 dollari, nonché alla sospensione dei diritti politici per un anno.
Quali siano gli illeciti addebitati è presto detto. Zavala, che ha la disavventura di essere un cristiano praticante, nel corso della sua campagna elettorale ha osato definire l’omosessualità «una grave deviazione di comportamento», e per questo «immorale». Si è poi spinto fino al punto di definire gli omosessuali come «peccatori». Troppo per il giudice Patricia Baca Mancheno che ha ravvisato nelle parole di quel politico una palese violazione del codice elettorale ecuadoregno, il quale espressamente proibisce ai candidati di esternare «pubbliche affermazioni e opinioni che possano apparire discriminatorie o offensive della dignità delle persone», o di utilizzare «simboli, espressioni o allusioni di carattere religioso».
Da qui la condanna esemplare, tra il tripudio degli attivisti pro-gay che hanno definito la sentenza un precedente storico. A nulla è valsa, durante l’udienza, la tesi difensiva di Zavala, il quale, tra l’altro, ha rivendicato l’aspetto politico del suo giudizio circa l’omosessualità, dichiarandosi uno strenuo oppositore del riconoscimento legale del matrimonio tra coppie dello stesso sesso. L’aver affermato, peraltro, che l’eventuale legalizzazione di tale forma di matrimonio avrebbe «distrutto la famiglia ecuadoregna» ha probabilmente peggiorato la sua posizione processuale agli occhi del giudice. A dire il vero, però, lo stesso Zavala in quel caso non si era discostato molto dal giudizio dato da alcuni religiosi quando, questi definirono la proposta di introdurre il matrimonio omosessuale come «una mossa del Demonio» per distruggere non solo la famiglia ma «la stessa immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra».
Questa surreale vicenda che giunge dall’Ecuador dimostra quanto sia pericoloso, sotto il profilo giuridico, introdurre nella legislazione norme destinate a contrastare in maniera astratta e generica il cosiddetto fenomeno della “omofobia”. Si rischia di avventurarsi per una china che porta inesorabilmente a calpestare il diritto alla libera espressione di opinioni, ovvero quel diritto fondamentale dell’uomo sul quale poggia ogni sistema costituzionale autenticamente democratico.
E che non si tratti di un rischio astratto lo dimostrano alcuni recenti episodi come, ad esempio, il caso di Franck Talleu fermato e multato nella civile e democratica Francia perché indossava la maglietta con il logo di Manif Pour Tous, immagine che osa rappresentare una famiglia costituita da un uomo, una donna, e relativi figli. E peggio è andata a 67 giovani che tre giorni fa manifestavano in silenzio davanti al Parlamento contro le nozze gay: sono stati arrestati e poi rilasciati dopo un’intera giornata.
A casa nostra preoccupano, invece, i primi tre disegni di alcuni partiti e movomenti, recentemente approdati nel parlamento italiano, ha intenzione di presentare. Il primo riguarda, infatti, la modifica del Codice Civile per consentire l’accesso al matrimonio a coppie dello stesso sesso, ed il riconoscimento dei figli di coppie omosessuali anche quando il concepimento avviene mediante il ricorso a tecniche di riproduzione medicalmente assistita, inclusa la maternità surrogata. Il secondo ed il terzo disegno di legge riguardano, invece, il contrasto all’omofobia e alla transfobia, e le modificazioni di attribuzione di sesso.
Se questo è lo scenario che ci attende nel prossimo futuro, dovremo chiederci se a seguito di qualche improvvido intervento legislativo, sarà ancora possibile per un cattolico sostenere – senza per questo essere tacciato di omofobia – che l’omosessualità rappresenta una «grave depravazione» (Giov. 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10.), che i suoi atti sono intrinsecamente disordinati e contrari alla legge naturale, poiché precludono all’atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale.
Se anche nel nostro Paese la politica non ferma la sua rincorsa dissennata alle suggestioni del politically correct, presto saremo costretti a subire anche noi una giustizia in salsa ecuadoregna.
Tratto da: lanuovabq.it
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