Dove i servi si offendono, i figli festeggiano.

C’era una volta un Re, ricchissimo e pieno d’amore. Il suo regno era perfetto, incorruttibile, eterno. Aveva un solo Figlio, l’erede del trono, simile a Lui in tutto: giusto, buono, pieno di grazia e verità. Il Figlio era tutto per il Re, e il Re era tutto per il Figlio. Condividevano ogni cosa: gloria, autorità, eredità.

Un giorno, il Re attraversò un villaggio devastato, e vide un bambino. Era nudo, ferito, incatenato. Abbandonato in una fossa. Sporco, affamato, terrorizzato. Nessuno lo aveva mai voluto. Il suo padrone era un carceriere crudele, che lo picchiava ogni giorno. Gli avevano insegnato che l’amore si meritava. Ma quando sbagliava – e sbagliava spesso – riceveva solo violenza.

Quel bambino era convinto di non valere nulla. Viveva nella vergogna, e non si aspettava più niente dalla vita.

Il Re si fermò. Lo guardò a lungo. Poi si inginocchiò, allungò le mani nel fango, ruppe le catene… e lo prese in braccio.

Lo portò con sé. Nessuno aveva mai toccato il trono con quella sporcizia addosso. Ma Lui sì.
Lo lavò. Gli curò le ferite. Lo vestì di bianco. Gli mise l’anello di famiglia al dito.
Poi lo guardò negli occhi e disse:
“Da oggi, tu sei mio figlio. Non un servo. Non un ospite. Ma figlio, a tutti gli effetti. E tutto ciò che appartiene al mio primogenito… ora è anche tuo.”

Il bambino non riusciva a parlare. Aveva vissuto tutta la vita credendosi uno scarto. Ora gli dicevano che era figlio del Re.

Nei primi giorni, provò a guadagnarsi il cibo pulendo i pavimenti. Si sforzava di essere perfetto. Ogni volta che sbagliava, correva a nascondersi, convinto che sarebbe stato cacciato. Ma ogni volta, il Re lo cercava, lo stringeva forte e gli diceva:
“Io ti ho adottato per amore, non per meriti. Tu non sei qui perché sei cambiato. Sei cambiato perché sei qui. Tu non sei in prova. Tu sei mio.”

Il bambino iniziò lentamente a fidarsi. Iniziò a camminare con il Figlio del Re, l’erede. Quel Figlio non lo guardava dall’alto, non lo trattava come un peso. Lo trattava da fratello. Gli insegnava a vivere da principe. Gli mostrava la vita del Regno. E ogni giorno gli ricordava:
“Tu non sei più uno schiavo liberato. Tu sei un figlio amato.”

Ma nel palazzo c’era anche un altro giovane. Non era stato adottato. Era stato assunto. Un servo esemplare. Sempre puntuale, sempre preciso. Conosceva ogni regola. Serviva il Re con disciplina, ma… non lo conosceva davvero. Era geloso. Quando vedeva l’ex schiavo trattato da figlio, si indignava.

Diceva:
“Non è giusto. Io ho sempre servito. Non ho mai disubbidito. E questo qui viene accolto, baciato, benedetto… dopo tutto quello che ha fatto? Dopo tutto quello che è stato?”

Un giorno andò dal Re e gli disse:
“Perché lui sì e io no? Perché tu lo chiami figlio, mentre io – che ho lavorato con fedeltà – resto un servo?”

Il Re lo guardò. Non con rabbia. Con dolore.
E disse:
“Perché tu non hai mai voluto essere mio figlio. Hai scelto di essere un servo. Hai vissuto nella mia casa, ma con il cuore lontano.

Il problema non è la mia grazia… è la tua incredulità. Tu pensi che il mio amore si debba meritare. Ma l’amore, quello vero, non si compra. Si riceve.
Hai imparato a servirmi… ma non hai mai voluto conoscermi. Hai cercato la mia approvazione, ma non il mio cuore.
Hai scambiato l’obbedienza per intimità. Il dovere per l’eredità. Il merito per l’identità.
E finché non ti arrenderai alla mia grazia, non potrai mai amare davvero.”

Chi ha orecchi per intendere, intenda.

Ancora oggi ci sono tanti che vivono nel palazzo ma non conoscono il Re. Sono impeccabili, devoti, impegnati… ma non liberi. Non figli. Non amati. Sono servi in uniforme, sempre affaticati, sempre sotto pressione, sempre pronti a giudicare chi è stato abbracciato senza meriti.

Perché la grazia disturba chi vive di prestazione.
Perché la misericordia umilia l’orgoglio religioso.
Perché chi si sforza di guadagnare l’amore… non può sopportare di vederlo regalato.

Ma il Regno di Dio non è un’azienda dove si sale di grado per rendimento.
È una casa. È piena di figli adottati che hanno smesso di meritare, e hanno imparato a ricevere.
E chi si affida alla grazia… sarà trasformato.
Chi si affida alle regole… resterà frustrato, sospettoso, invidioso.
E finirà per auto-escludersi dalla festa, pur avendo passato la vita dentro il palazzo.

“A tutti quelli che l’hanno ricevuto, Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome.”
(Giovanni 1:12)

“Così dunque non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per volontà di Dio.”
(Galati 4:7)

“Chi confida nelle opere della legge è sotto maledizione… ma il giusto vivrà per fede.”
(Galati 3:10-11)

“Siete venuti al monte Sion… alla casa dei primogeniti, a Dio, al Giudice di tutti, e a Gesù, il Mediatore del nuovo patto.”
(Ebrei 12:22-24).

Marcello Donadio 


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