Dove porta la legge sul “fine vita”? All’eutanasia Basta guardare ai casi di Marwa e Vincent

Che cosa accade quando si cerca di legiferare sulla vita e la morte di una persona lo dice la Francia, dove dal 2005 esiste una legge in tutto simile a quella italiana sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento) che verrà discussa nelle prossime settimane dalla Camera.

In queste ore si attende infatti il pronunciamento del Consiglio di Stato francese su un caso che sta scuotendo il paese. Si tratta della vicenda che ha coinvolto Marwa Bouchenafa, una bambina di oltre 20 mesi ricoverata da settembre in ospedale in seguito ad un’infezione virale che le ha provocato danni cerebrali. La piccola, come mostrano i video postati dal padre sulla sua pagina Facebook così da evitare che fosse dipinta dalla stampa come un essere inanimato, reagisce, muove la bocca e gli occhi e ha uno sguardo vigile. Ma siccome si nutre con il sondino ed è aiutata a respirare da un tubicino è stata considerata dal collegio dei medici non degna di vivere in quelle condizioni dal momento che sarebbero irreversibili. I genitori, però, che amano la loro piccola anche se malata, si sono opposti denunciando il fatto al tribunale che ha dato loro ragione. Non contento l’ospedale è ricorso in appello e ora si attende il giudizio del Consiglio di Stato. Ma, anche se la speranza è l’ultima a morire, c’è molta trepidazione nel cuore dei genitori e del pubblico che si è unito a loro per manifestare contro i medici, data la sentenza del Consiglio di Stato in un caso simile cominciato nel 2013.

Si tratta della vicenda di un malato, Vincent Lambert, finito in coma 8 anni fa per poi passare allo stato di minima coscienza, tanto che ora si muove seguendo con lo sguardo le persone che entrano nella sua stanza (i genitori hanno mostrato i video per contrastare le mistificazioni). Anche qui intervenne il collegio dei medici a dirimere il conflitto fra la moglie, che lo voleva morto, e i suoi genitori decisi a combattere al suo fianco dopo aver scoperto per caso che il figlio non veniva più alimentato rischiando di morire lentamente sotto i loro occhi. Anche allora la vita di Lambert fu difesa dai giudici in primo appello, ma non dal Consiglio di Stato e nemmeno dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Fu solo un inghippo burocratico, per cui il suo medico curante fu trasferito in un altro ospedale, a non attuare il verdetto di morte lasciando il caso irrisolto. Ma evidentemente i cultori dell’eutanasia di Stato non hanno intenzione di fermasi finché una sentenza della magistratura non la ammetta definitivamente chiarendo ciò che nella normativa nazionale è di fatto già premesso.

La “legge Leonetti” del 2005 è infatti molto ambigua e simile al ddl italiano sulle Dat che formalmente non prevede l’eutanasia. Anche il padre della norma francese, Jean Leonetti, infatti, ha voluto stabilire che alimentazione ed idratazione possano essere sospese in alcuni casi. E sebbene le volontà del paziente debbano essere rispettate, nel caso in cui non sia in grado di intendere e volere, o nel caso di un minore, sono i parenti o i tutori a scegliere insieme al collegio dei medici. Ovviamente, come dimostra la cronaca, a dirimere i conflitti ci sono i giudici.

Nella stessa direzione va la norma appena approvata dall’Assemblea di Madrid, sui “diritti e le garanzia della persona nel processo finale della vita”, che oltre a prevedere la sospensione di nutrizione e idratazione, addirittura punisce i medici che non assecondino le volontà dei pazienti e dei loro parenti. Eppure, a causa di queste leggi già esistenti in altre regioni spagnole, ci sono stati dei casi di morte per fame e sete di malati incoscienti. A confermarlo è stato il portavoce dell’associazione Vita Degna, Carlos Alvarez, chiarendo che legiferare sulla vita è folle, anche perché induce i medici “all’abbandono terapeutico (…) per paura di ostacolare la volontà del paziente” ed essere quindi puniti.

Come mai una legge rende più complicate le cose, rischiando l’omicidio per fame e per sete dei malati in stato di minima coscienza, dementi o disabili? Nel momento in cui la vita viene messa ai voti e la si rende disponibile e nel momento in cui una legge stabilisce l’autodeterminazione, di fatto il valore dell’esistenza viene fissato soggettivamente. E’ così che, pensando di diventare padroni di se stessi, si consegna la propria persona alle scelte del potere che a seconda dei propri interessi fisserà i criteri per cui una vita è valida o meno. Se fossimo davvero interessati alla libertà personale basterebbe guardare a quello che accade in altri paesi con norme simili a quella al vaglio del parlamento italiano. A meno che si ammetta di volere le Dat per lo scopo che hanno: accettare la vita solo entro certe qualità e quindi sopprimerla in caso contrario. Sarebbe per lo meno un atto di onestà.

di Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it

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