Ecco perché il Ddl Menia va portato avanti e discusso. Al di là di qualsiasi posizione sull’aborto.

Un colpo di bacchetta magica. È questo l’unico modo per spiegare una certa narrazione abortista: un essere umano all’interno del grembo materno è un grumo di cellule fino al terzo mese di gestazione, quando poi, improvvisamente, alla dodicesima settimana, si trasforma in un essere umano. Prima della magia quella “presenza” può essere tranquillamente abortita, annullata, eliminata. Insomma, uccisa (e però si può abortire anche dopo i tre mesi, in realtà, in molti più casi di quanto si creda).
Oggi, nel XXI secolo risulta veramente anacronistico e antiscientifico affermare che il concepito non sia un essere umano. Anche per questo la legge 194 del 1978 è  una norma non solo iniqua, ma anche ingiusta e da eliminare. Per questo andrebbe preso esempio dalle numerose leggi che in circa venti  Stati federati americani pongono limiti – anche molto restrittivi – all’aborto: lì hanno prevalso buon senso e civiltà.
Essendo al momento – a quanto pare – “intoccabile” la 194, il disegno di legge sul concepito, firmato e presentato dal senatore Roberto Menia di Fratelli d’Italia, deve però essere preso in considerazione. Come quello di Maurizio Gasparri di Forza Italia; così come il disegno di legge depositato già da Isabella Rauti per l’istituzione della giornata del nascituro, e quello di Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, per riconoscere il concepito come componente a tutti gli effetti del nucleo familiare. Anche questi sono segni di civiltà.
Quale civiltà, domanderebbero –  sarcasticamente – i sostenitori dell’aborto. La civiltà che sta alla base del riconoscere pari dignità a ogni essere umano, che è tale fin dall’inizio della sua vita. E la sua vita – non lo dicono i pro life o i politici, ma la scienza – inizia fin dall’istante del suo concepimento.
Ecco perché il Ddl sul concepito del senatore Menia serve per aprire una discussione civile e intellettualmente onesta sul tema, che dovrebbe essere accettata da tutti, anche da chi non è pro life, anziché istigare polemiche sterili e anzi dannose per tutti. Dannose per i bambini, per i nascituri, per le famiglie e per le donne (che – non dimentichiamo – sono esse stesse ferite e danneggiate dall’aborto).
Oggi, infatti, il principio di uguaglianza e non discriminazione sancito dall’art.3  della nostra Costituzione deve (dovrebbe!) essere rispettato anche per le diverse età e condizioni di vita umana, con particolare riferimento alle fasi più fragili di essa: quella morente e sofferente, ma anche quella nascente. Come ben ha sottolineato lo stesso senatore Menia, infatti, non si tratta di essere pro o contro l’aborto, ma di riconoscere, anche nell’ambito giuridico, che embrione, feto, neonato, bambino, ragazzo, adolescente, giovane, adulto, anziano, vecchio sono diversi nomi con cui si indica una identica realtà, un identico soggetto, lo stesso essere, lo stesso uomo. Insomma. Sono tutti sinonimi di essere umano e ogni essere umano è una persona.
I bambini nel grembo, invece, sono persone discriminate, che non sono considerate tali. Come accadeva ai neri, fino a metà Ottocento negli Usa; come gli Ebrei negli anni ’30 in Germania. E “dare voce a chi non ha voce”, ai bambini nel grembo materno, è necessario anche per tutelarli dalle manipolazioni genetiche e dai rischi di vita e salute che corrono con la procreazione artificiale.
Ecco perché appare ancora più utile e urgente una discussione positiva e a largo spettro sul concepito ed ecco perché un disegno di legge come quello di Menia, come quello di Gasparri, della Rauti e di Romeo, appaiono non solo utili e proficui, ma condivisibili da più fronti.
Si parlava, prima, di società civile e democratica. A tal proposito ci auguriamo che il Ddl Menia e le altre proposte citate non vengano stoppate o boicottate ideologicamente e a priori, ma democraticamente portate in aula e discusse. Innanzitutto per dare loro una possibilità, come qualsiasi disegno di legge – anche i più ideologici e fuorvianti – ha avuto in passato. E soprattutto perché i cittadini italiani hanno il diritto di sapere quali dei propri rappresentanti eletti in Parlamento riconoscono che il bambino concepito è una persona.
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