EGLI NON SAPEVA…

di E.K.Rusthoi – Egli (Sansone), non sapeva che Dio s’era ritirato da lui” (Giudici 16,20).  –  “Or Mosè, quando scese dal monte Sinai – scendendo Mosè aveva in mano le due tavole della testimonianza – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante” (Esodo 34,29).

Vorrei attirare la vostra attenzione su questi due versetti biblici che sembrano in aperto contrasto. Il primo è un versetto negativo e triste. Il secondo è proprio l’opposto ed è un invito alla preghiera, positivo e pieno di letizia. Che enorme differenza! Che grande contrasto! Sansone non sapeva che il Signore s’era allontanato da lui. Mosè non sapeva che il suo volto era raggiante poiché la sua pelle rifletteva la gloria del Signore. Uno di questi due uomini si era tanto allontanato da Dio da non accorgersi nemmeno che il Signore non era più presente in lui. L’altro si era avvicinato a Dio in tal modo da non rendersi conto dello splendore che la presenza del Signore aveva lasciato in lui.

I genitori di Sansone lo avevano dedicato al Signore fin dalla nascita. Dio lo aveva fornito di tutto il necessario, sia nel fisico che nell’intelletto, per un’opera di mole eccezionale. Le Sacre Scritture ci informano che, fin dai tempi della sua giovinezza, lo Spirito dell’Eterno cominciò ad agitarlo. Col passare degli anni divenne sempre più chiaro che Dio era con lui. Egli uccise un leone, che lo minacciava, con le sue stesse mani e senza usare armi.

“I regali che uno fa gli aprono la strada e lo porta alla presenza dei grandi“  (Proverbi 18,16).

Sansone fu accettato dagli Israeliti e svolse per vent’anni la carica di giudice. Grandi erano la sua sapienza e conoscenza. Era l’uomo di Dio in quel momento storico.  Ad un certo punto le cose cambiarono. Sansone incominciò a disobbedire alle leggi divine. Entrò in territorio nemico. Dalila conquistò il suo cuore e scoprì dove risiedeva la sua forza: conobbe il giuramento sacro che gli garantiva la protezione del Signore.

Quale tragedia ebbe inizio allora! Dalila apprese il suo segreto e, con mille sotterfugi, neutralizzò Sansone ed invitò i Filistei ad attaccarlo. Quando Sansone si risvegliò pensò di potersi liberare come aveva già fatto altre volte. Non sapeva però che il Signore non era più con lui.

È possibile pensare a qualcosa di più triste?

Cosa ci può essere di più tragico? Essere stati vicini a Dio, ripieni del suo Spirito e usati dal Signore in modo potente e trovarsi improvvisamente privati di tutto a causa della propria disobbedienza. Sansone tentò di usare ancora una volta la propria forza per compiere imprese straordinarie ma le conseguenze furono disastrose.

La storia si ripete. Anche oggi ci sono persone che continuano a pretendere di essere cristiani anche dopo che hanno perso da lungo tempo il loro rapporto con Dio. L’unzione divina e la fresca testimonianza sono spariti. I “Sansoni” del nostro tempo ignorano anch’essi che il Signore si è allontanato da loro.

Può accadere che delle persone si immergano nelle cose del mondo, che prendano parte a mille attività e coltivino mille abitudini, correndo dietro alla ricchezza e ad altri valori materiali ed allontanandosi dalle cose di Dio a tal punto da non accorgersi che il Signore, messo da parte, si è allontanato da loro.

Gioia e vittoria

Vogliamo però anche considerare un altro testo, un testo biblico che ha il sapore della letizia e della vittoria. “Or Mosè, quando scese dal monte Sinai – scendendo Mosè aveva in mano le due tavole della testimonianza – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante…”  Ci troviamo qui di fronte ad un uomo che non smise di pagare il prezzo che gli costava la sua devozione a Dio e la separazione dal mondo.

“Or l’Eterno parlava con Mosè faccia a faccia come un uomo, parla col proprio amico” (Esodo 33,11). Mosè non si fermò a questo punto ma espresse il desiderio di conoscere la gloria di Dio in modo ancor più completa (Esodo 33,18). Dio esaudì il desiderio di questo patriarca fedele. “Sii pronto domattina e sali il mattino sul monte Sinai, e presentati quivi da me in vetta al monte … e Mosè si alzò la mattina di buonora, e salì sul monte Sinai come l’Eterno gli aveva comandato”  (Esodo 34, 2-4)

La mattina di buonora, quando non siamo ancora presi dalle nostre preoccupazioni, dai nostri compiti, dalle nostre responsabilità e dai divertimenti, Dio si mostra nella sua gloria a quelli che salgono spontaneamente sul monte della preghiera, cercando la sua presenza. Considerate che c’erano per lui moltissimi compiti urgenti da svolgere e grandi responsabilità a cui doveva far fronte nella valle del suo servizio. Se Mosè tuttavia desiderava veramente vedere la gloria di Dio, doveva anche prendere la decisione di dare a Dio il primo posto nella sua vita. Doveva salire sulla cima del monte, e lo fece!

“E l’Eterno discese nella nuvola… E Mosè subito s’inchinò fino a terra e adorò” (Esodo 34,5;8). L’unione di Dio con il patriarca era tanto forte che Mosè passò quaranta giorni e quaranta notti in cima al monte.

Dopo esser sceso dalla montagna, Dio era ancora tanto vicino che la sua pelle luccicava. La presenza e la compagnia del Signore avevano lasciato tracce visibili sulla sua persona e queste tracce avevano un carattere duraturo.

Un processo analogo si manifestò anche nella persona di Gesù in cima al monte della trasfigurazione “Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto e il suo vestito diventò candido e sfolgorante” (Luca 9,29). “La missione della legge, scritta su tavole di pietra, fu inaugurata con tanta gloria che gli Israeliti, per un po’ di tempo, non potevano guardare la faccia di Mosè, per lo splendore che irradiava. Ora, se la missione della legge, che pure conduceva alla morte, fu così gloriosa, non sarà forse più gloriosa la missione dello Spirito? (2 Corinzi 3).

Se Mosè fu reso partecipe della gloria del Signore, all’atto del ricevimento della legge, a tal punto che il suo volto splendeva di luce, anche noi, attraverso lo Spirito Santo, dovremmo essere riempiti dalla gloria di Dio in tal modo da irradiarla attorno a noi.

Le vicissitudini della vita e gli inevitabili conflitti con cui noi tutti veniamo confrontati sono una minaccia per la nostra forza spirituale e talvolta impediscono il manifestarsi della presenza di Dio in noi. Se pere continuiamo a salire fedelmente il monte della preghiera e dedichiamo una parte del nostro tempo al Signore, lo Spirito Sante potrà compiere la sua opera. Le benedizioni e la gloria del Signore entreranno allora a far parte della nostra personalità e ci trasformeranno in fonti di luce in questo monde tenebroso.

Sansone non sapeva che lo Spirito di Die lo aveva abbandonato. Mosè non sapeva che il suo volto era diventato luminoso. Oggi ognuno di noi deve rispondere personalmente alla domanda: Quale sarà l’aspetto della mia vita? Sto camminando insieme alle masse, dopo aver voltato le spalle alla fonte dell’acqua vivente? Sono diventato torbido, scialbo, vuoto, sono incapace di produrre frutti e sono destinato ad essere “gettato via”?

Sono invece capace, come Mosè, di salire ogni giorno sul monte della preghiera e di pregare anche durante la giornata, ogni volta che mi si presenta l’occasione? Mi trovo nella presenza del Signore fino al punto da identificarmi con questa affermazione: “Ora noi tutti contempliamo a viso scoperto la gloria del Signore, una gloria sempre maggiore che ci trasforma per essere simili a lui. Questo compie lo Spirito del Signore” (2 Corinzi 3:18).

Da: Chiesadiroma.it

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