Fermiamo la mano suicida

A poche centinaia di metri dalla mia abitazione, un coetaneo professionista del luogo si è tolto la vita con un colpo di arma da fuoco. In zona non è il primo purtroppo. Infatti nell’ultimo periodo già altri uomini, mariti e padri di famiglia hanno deciso di farla finita, andando a sostenere la media nazionale dei circa 4000 suicidi in Italia ogni anno, che non pone molti distinguo legati all’età. Oramai non c’è territorio indenne e il confronto con questa strage silenziosa è fugace, fin quando poi non ci tocca da vicino. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ogni anno nel mondo si tolgono la vita 880.000 persone, vale a dire un suicidio circa ogni 40 secondi e un tentativo di suicidio ogni 3. Nonostante fra i Paesi Ocse, l’Italia registra uno dei più bassi livelli di mortalità per tale motivo, la mia coscienza ha un sussulto ogni volta, davanti al vuoto che ogni vittima lascia: un vuoto non solo di affetti e responsabilità, ma di sostegno e supporto non trovati. Tutta l’attenzione a posteriori ha il sapore della beffa e si veste di inutile e tardiva apparenza di interesse. Risulta comunque estremamente difficile individuare i motivi che inducono a togliersi la vita. Non solo crisi economica, ma depressione e solitudine risultano essere i fattori provocanti maggiori. A questi si aggiungono poi le variabili di natura psicologica e sentimentale. Ogni volta si tratta di una tragedia davanti alla quale non possiamo, e non dobbiamo assolutamente, ergerci a freddi giudici o insensibili liquidatori del “problema suo”.

Purtroppo sempre più persone considerano il suicidio come una rapida scappatoia in grado di recare immediata soluzione e consolazione a quanto li sta sconvolgendo. In qualche caso neanche il credente resta immune e non lo sono neppure quelli con fondamenta apparentemente solide. Se siamo chiamati a prendere consapevolezza del dono inestimabile che Dio ci ha fatto con la vita, altrettanto siamo sfidati a fare i conti con le fragilità dell’animo umano, sempre più debole e delicato. Ogni azione messa in atto per porre fine alla propria esistenza risulta un rifiuto o uno stravolgimento del superiore progetto per ciascuno. Come credente, dichiaro che Cristo ci ha comprati a Dio mediante il sacrificio della sua vita e lo spargimento del suo sangue. Infatti l’apostolo Paolo scrive:“Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19-20). Se mi volgo alla Bibbia, essa non offre alcuna conferma al suicidio come a una via di fuga contemplata. Nello specifico presenta, senza citare mai il termine, alcuni casi di suicidio: Abimelec (Giudici 9:54), Saul (1 Samuele 31:4), lo scudiero di Saul (1 Samuele 31:4-6), Aitofel (2 Samuele 17:23), Zimri (1 Re 16:18) e Giuda (Matteo 27:5).  Resta innegabile il fatto che, seppur li pone come esempi negativi, non offre espressione di condanna nei riguardi di alcuno, tranne che il calare un velo pietoso su ogni storia. Altrettanto non vi è alcun verso che affermi esplicitamente che il suicidio conduca all’inferno. Anzi, quelli che giustificano e cercano di descrivere cosa accade se un tale gesto è commesso da un cristiano, citano impropriamente 1 Corinzi 3:15: «egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco».  Chi vuole poi cogliere un istinto suicida nelle parole dell’apostolo Paolo ai Filippesi (1:23-24) deve fare i conti con la sua scelta di rimanere in vita: «Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma, dall’altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi».

Mi astengo dal proferire ogni tipo di giudizio in merito, e siccome il salvare appartiene al Signore (Salmi 3:8; Apocalisse 7:10), ritengo però che non sia difficile innanzitutto concordare che la vita è un dono di Dio, e poi che il suicidio viola il comandamento “Non uccidere”. Eventuali circostanze avverse non saranno mai una ragione per uccidersi, ma piuttosto motivo per avere maggior fede in Dio, in quanto solo Lui può decidere il termine della nostra vita, e il suicidio usurpa tale diritto. Il suicidio pone arbitrariamente termine al piano che Dio ha per la nostra vita; è un atto egoista nei confronti di quelli che ci circondano e che soffriranno a causa di questa scelta. Preferisco lasciare da parte ogni opinione teologica sul suicidio, dietro al quale ci sono battaglie e sconfitte, tentazioni e resistenze, menzogne e verità, il diavolo e Gesù, ma sempre e comunque tanto dolore e sofferenza. Mi sto interrogando invece sul perché in una società sempre più vorticosa, dove i ritmi frenetici lanciano alcuni fuori dagli schemi e da ogni orientamento sempre più persone vanno in crisi e scelgono il suicidio come via di fuga. Nessuno può reputarsi forte e incrollabile, e in ogni vita possono esserci fuochi che bruciano sotto la cenere del segreto personale e che improvvisamente possono provocare incidenti irreparabili, anche in presenza della fede. La tempesta che si leva improvvisa travolge le menti apparentemente più stabili e serene, lasciandoci senza fiato. Davanti alla sensazione che tutto sta per crollare, ecco allora che alcuni cedono alla disperazione piuttosto che invocare aiuto. I primi ad essere tenuti all’oscuro sono proprio i familiari, che il più delle volte non percepiscono alcuna crepa.

Come curatore d’anime mi pongo volontariamente sul banco degli imputati, non per essere accusato ma per interrogarmi se sto facendo realmente quanto nelle mie possibilità. Forse, nonostante i tanti sforzi profusi, stiamo fallendo nell’educare alla vita, al rispetto di essa e alla sua condivisione a favore proprio di chi soffre realmente. Sono consapevole che non siamo chiamati a porre rimedio, o quantomeno ad offrire soluzioni e alternative ai problemi scatenanti, il più delle volte sottaciuti dalle vittime e ignorati dalla comunità, perché non alla nostra portata. Vorrei però tanto intervenire in tempo per curare piuttosto che per consolare i familiari di un suicida. Per far questo occorre riportare il nostro sguardo alle persone, offrendo attenzione e mostrando interesse per il loro reale benessere. Mi rendo però conto che devo chiedermi se sono pronto a pagare il prezzo per donare sollievo, recare speranza e indicare una concreta via di uscita. Per tutto questo mi appello all’assistenza dello Spirito e ne invoco la guida.

Elpidio Pezzella | elpidiopezzella.org

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook