Le giovani donne di oggi sono spesso costrette a scegliere tra famiglia e lavoro, tra maternità e libertà. Un libro controcorrente invita a riflettere sulla condizione femminile e sulla vocazione più profonda della donna.
Una donna si racconta in un libro. E scrive della sua realizzazione, della sua vocazione di moglie e mamma a tempo pieno andata a soppiantare una carriera che stava per sbocciare, quella di medico.
Così si spiega il titolo del libro di Lisa Zuccarini: Doc a chi?! Cronache e disastri di una mamma col camice appeso al chiodo, ultima uscita della collana UomoVivo di Berica Editrice, con una prefazione della giornalista Costanza Miriano.
La scelta di Lisa
Sì, perché il racconto, o meglio le riflessioni che si dipanano in questo libro partono dai ricordi di una giovane studentessa di Medicina che si appresta ad abbracciare una professione bellissima.
Forse quello del medico è un mestiere più impegnativo di altri, di sicuro a differenza di altri va vissuto come missione totalizzante. Inizialmente è questo il proposito di Lisa. Ma poi, a un passo dalla conclusione del ciclo di studi, quando le mancano solo pochi esami, prende la decisione di lasciare. Nel suo cuore è maturata infatti la vocazione che la giovane donna vuole rendere primaria: quella familiare, la vita da moglie e mamma.
È così che Lisa decide di lasciare una promettente carriera da dottoressa per dedicarsi interamente alla famiglia. Una scelta controcorrente oggi, perfino scandalosa per la quasi totalità delle sue coetanee.
I figli che non vogliamo più
Per saggiare quanto lo sia basta leggere I figli che non vogliamo, un vecchio articolo del Foglio a firma di Ritanna Armeni nel quale la famosa giornalista descrive il mutamento antropologico, possiamo dirlo, delle giovani donne di oggi: trentenni o poco meno, le quali non hanno certo più i problemi con cui dovevano scontrarsi le loro madri. Spesso hanno un lavoro fisso, e se non l’hanno possono contare sulla rete familiare che supporta la loro precarietà professionale. Possono anche contare su professionalità e competenze acquisite grazie agli studi e alle esperienze lavorative.
Sul piano puramente economico sarebbero perfettamente in grado di crescere un bimbo e anche i loro compagni sono ben lontani dalla mentalità “a compartimenti stagni” dei loro padri, che delegavano alle mamme l’onere di tirare su i figli.
Anche le madri delle giovani donne contemporanee hanno studiato e lavoravano fuori casa, ma erano sfiancate dal “double workday”: la doppia giornata lavorativa. Dopo il turno in azienda c’erano ancora i “compiti a casa”: i bambini, le relazioni familiari, la spesa da fare, la cena da preparare, ecc.
La malsana contrapposizione tra libertà e maternità
Il sacrificio imposto a queste donne era gravoso e richiedeva eroismo. Ma è inumano pretendere l’eroismo da tutti, anche dai comuni mortali. Pertanto se le giovani donne degli anni ’70-’80 erano madri e lavoratrici alla ricerca di un difficile equilibrio tra famiglia e lavoro, le loro figlie scelgono sempre più spesso di essere solo lavoratrici. Vogliono la libertà e la carriera, non la maternità e il sacrificio. Di conseguenza non hanno intenzione di avere figli. Così è il bambino a essere sacrificato.
Questo a riprova che una società dove la maternità si contrappone alla libertà ha qualcosa di malsano in sé, perché priva la donna di qualcosa di molto profondo: il suo genio femminile.