Lucia, il nome di fantasia assegnato dai giornali a questa studentessa maceratese, racconta in prima persona l’angoscia vissuta per la scoperta di essere rimasta incinta a soli 15 anni, il pensiero di abortire, i «colloqui avvilenti» con i medici, gli psicologi e il giudice, tutti pronti a giustificare la sua scelta, infine la resa all’amore che le ha impedito di uccidere «il regalo più bello di ogni giorno».
Ricordo quel giorno di pioggia, freddo, angosciante, la mano tremava nella tasca dove stringevo un test di gravidanza, gli occhi gonfi di lacrime e il cuore di paura. Dentro quella strana sensazione di sentirmi la pancia già piena di “qualcosa”, qualcuno. Camminavo verso casa del mio fidanzato, quel 28 dicembre del 2010 quando scoprii di essere incinta.
Fu un attimo e tutto crollò: corpo, mente, progetti. Tra sguardi increduli, gambe tremanti, urla e pianti infiniti. Tutte le aspettative, i sogni, le mille domande si racchiusero in una giornata intera passata abbracciati in un letto, mentre la razionalità mi portava ad una decisione che prevedeva responsabilità dalle quali mi sentivo schiacciare. Un enorme peso mi accompagnò quella sera a casa, quando decisi di dirlo ai miei genitori. Sapevo già, dentro di me, cosa avrebbero riposto. Senza indugio mi confortarono dicendo che tutto ciò che è Vita darebbe stato da loro accettato e accolto come un dono.
Il problema allora divenne un altro: le convinzioni avute fino a quel giorno, le idee, i valori di una vita si frantumarono. Mi imposi quindi di non amare quell’esserino, di far finta che non fosse reale, pensando così che sarebbe stato più semplice per me porre fine alla sua esistenza; annullando cuore, mente e pancia anche alla prima ecografia, quando capii che ciò che non volevo fosse vero aveva un cuoricino che batteva e si muoveva, ma altro non era che un “granello di sangue”.
Da lì iniziarono colloqui avvilenti nei consultori fra assistenti sociali e psicologi pronti a dare giudizi su momenti di debolezza portati a farmi pensare che se ero lì davanti a loro non sarei potuta essere una “buona” madre e che era comprensibile alla mia età. Arrivai così, quasi allo scadere del secondo mese in un’aula di tribunale, dove un giudice ascoltava il mio essere inadatta a questa creatura, quanto mi sarebbe stata scomoda e questo lo portò a prendersi la responsabilità di firmare un foglio che mi permetteva di porre “fine” a questo incubo.
Andai in ospedale, dove un medico cercava freneticamente un buchino, in quel grosso libro, dove potermi infilare; libro pieno di tante passate e future date di morte di piccoli bambini. Attendevo e intanto non potevo far altro che ricordare il mio primo bacio con D.: rivedermi gli sguardi complici e felici, la gioia nelle poche parole, che erano solo nostre, nell’allegria riflessa nei suoi occhi verdi… E se avesse gli occhi verdi? Quegli stessi occhi che mi hanno fatto innamorare? Volevo davvero far spezzare così tanta felicità dall’odore metallico e fastidioso di una sala d’aspetto di un ospedale? Dissi di sì, anche quando mi proposero il 4 febbraio come data ultima per porre fine a tutte le mie preoccupazioni. Dopo svariate direttive finali, aspettai che quel giorno arrivasse, a conclusione dei tre mesi più lunghi e indimenticabili della mia vita. E arrivò quella mattina, in un lampo.
Non mi sono mai alzata da quel letto, sono rimasta lì, immobile, con le mani ancorate alla pancia, in un nuovo senso di protezione per questo bambino che finalmente riuscivo a sentire mio e ora sapevo che non avrei permesso a nessuno di strapparmelo via con ferri e forbici e di buttarlo insieme ai rifiuti ospedalieri. Era mio e lo volevo! Anche quel giorno, come il primo, il letto fu una fortezza di emozioni, che condivisi abbracciata a chi stava capovolgendo la sua vita insieme alla mia, ma con una consapevolezza diversa, cioè che niente sarebbe andato storto perché, comunque sia, nostro figlio viveva!
Dopo sei mesi, il 21 agosto, nacque il nostro bambino e da lì in poi, da tre persone, ne diventammo una. Vedere i suoi occhietti, le sue manine, le sue lacrime, le prime parole insieme ai primi passi; l’entusiasmo di quando ti corre incontro in una grande risata è tuttora il regalo più bello che ogni giorno ci regala.
Io avevo 15 anni, D. 18, la nostra vita è stata sconvolta, ma cosa può cambiare per il semplice fatto che c’è una personcina in più che ti vuole bene? Che importanza può avere se c’è l’amore?
Nessuno, tranne Dio, ha il diritto di decidere se un feto debba vivere o morire. Noi non sappiamo quale sarà il suo futuro, perché Dio abbia posto la vita nel grembo di una donna.
Quel bimbo ha diritto di nascere, proprio come te e me (vedere Salmo 139)!
Per gentile concessione dell’autrice, pubblichiamo il tema che ha vinto il XXVI concorso scolastico europeo “Uno di noi”, organizzato dal Movimento per la Vita.