I diritti gay in Italia ci sono già, parola di «Repubblica»

RepubblicalpiojiFinalmente. C’è voluto parecchio tempo, anzi troppo, ma alla fine è stato ammesso: in Italia i sospirati diritti per le coppie omosessuali non solo non sono negati, come taluni seguitano ostinatamente a ripetere, ma sono già disponibili e “attivabili”. In poche parole, a portata di mano: nessuna ingiustizia dunque, nessun “vuoto legislativo” e nessuna crudele discriminazione. La novità è che questa verità – già ampiamente sottolineata da autorevoli giuristi, ma a lungo oscurata da disinformazione volta a nascondere alle coppie conviventi i loro effettivi diritti – tempo fa è stata riconosciuta pure dall’insospettabile quotidiano la Repubblica.

La sorprendente ammissione è arrivata da un’inchiesta circa l’iniziativa di una compagnia di assicurazioni che propone – riprendiamo testualmente – due «polizze assicurative» innovative rispetto ad «altre soluzioni di diritto privato»; la prima riguarda la materia successoria e, in alternativa alla prassi che prevede che tutto possa «essere impugnato o reso nullo dai parenti di uno o dell’altro, che vantano la consanguineità», si prefigge la tutela di «qualsiasi beneficiario, non necessariamente un parente o un coniuge», mentre la seconda contiene un dispositivo «che “si sostituisce” alla pensione di reversibilità» attraverso un apposito «fondo pensione deducibile». Il problema, si legge sempre nell’articolo, è «che c’è molta ignoranza su questi temi». Una considerazione scomoda ma vera, sulla quale sarebbe opportuno soffermarsi.

E che pone un dubbio: se la materia successoria e perfino la pensione di reversibilità non sono negati ai conviventi gay, dov’è il fantomatico ”vuoto legislativo”? Ha senso chiederselo pensando, in aggiunta a quanto scritto da Repubblica, che le coppie di fatto godono già oggi dei diritti – solo per rammentarne alcuni – di stipulare di accordi di convivenza per interessi meritevoli di tutela (ex art. 1322 cc), di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente (Cfr. C.C. sent. n. 404/1988), di visita in carcere al partner (Cfr. D.P.R 30 n. 230 del 2000), di risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (Cfr. Cass., sez. unite Civ., sent. 26972/08, Cass. III sez. pen. n. 23725/08), di obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (Cfr. L. n. 91 1999; Cfr. L.n. 53 2000), di permessi retribuiti per decesso o per grave infermità del convivente (Cfr. L.n. 53 2000), di nomina di amministratore di sostegno (artt. 408 e 417 cc), di astensione dalla testimonianza in sede penale (art. 199, terzo comma, c.p.p.), di proporre domanda di grazia (art. 680 c.p).

Il punto è che tutto ciò, quasi sempre, viene taciuto. Perché? Questa è una bella domanda. Un’ipotesi convincente è che ai responsabili dei movimenti gay interessi poco, in realtà, di colmare un “vuoto legislativo” a questo punto quanto mai dubbio; loro preoccupazione è invece occupare la scena pubblica con rivendicazioni che, esaminate da vicino, rivelano una matrice prevalentemente politica ed identitaria. Lo conferma con chiarezza un insospettabile come Gianni Rossi Barilli, giornalista, scrittore e militante gay, il quale ha scritto che «il numero delle coppie disposte ad impegnarsi per avere il riconoscimento legale è trascurabile» e che «il punto vero è che le unioni civili sono un obbiettivo formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica» (Rossi Barilli G.Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. 212). I conti, insomma, tornano.

Infatti, se sul piano giuridico – precisamente del diritto volontario -, i diritti cui le coppie omosessuali aspirano sono sostanzialmente già disponibili, su quello pubblico non lo sono; manca cioè l’istituto delle coppie di fatto. Istituto che se da un lato poco aggiungerebbe sotto il versante normativo, d’altro lato moltissimo cambierebbe su quello simbolico giacché determinando, come osserva Rossi Barilli, «la legittimazione dell’identità gay e lesbica», avvierebbe una dinamica palesemente concorrenziale – sul piano delle risorse e della visibilità, dell’economia e della cultura – rispetto all’istituto matrimoniale, tanto che la stessa Corte Costituzionale, consapevole di questo e tradendo una certa ingenuità, si è preventivamente preoccupata di escludere che il riconoscimento delle coppie di fatto possa avvenire «soltanto attraverso una equiparazione […] al matrimonio» (Cfr. Corte cost. 14 aprile 2010, n. 138).

In altre parole il vero motivo per cui, col pretesto di diritti che – come abbiamo visto – in realtà negati non sono, si spinge in favore di un riconoscimento pubblico delle coppie di fatto anche omosessuali non è di giustizia ma di ideologia, ed ha il preciso scopo «di espropriare la famiglia dai diritti e dai privilegi che in molti paesi, come l’Italia, ancora vengono accordati a questa istituzione». Quello dei diritti civili è cioè l’ultimo paravento del materialismo distruttore dello «stato di cose presente» (Marx K. – Engels F. L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1972. p. 25), di chi considera la famiglia luogo di oppressione della donna e di «sfruttamento dei figli da parte dei loro genitori» (Manacorda Alighiero M. Marx e l’educazione. Armando editore, Roma 2008, p. 99). E’ qui, su questo terreno –  forse meno visibile ma decisivo – che si gioca la vera partita: quello che definisce e critica la famiglia naturale e la sua ragion d’essere. Il resto, con rispetto parlando, è specchietto per le allodole.

Giuliano Guzzo

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