I tatuaggi sono un modo per marchiare indelebilmente il tempio di Dio

A partire dagli anni ’90, complice la sovraesposizione alle serie ed ai programmi made in USA, i tatuaggi si sono diffusi a macchia d’olio tra la popolazione di tutto il mondo. Il tutto è cominciato come una moda di rottura nei confronti dei taboo delle vecchie generazioni fino a diventare una vera e propria forma d’arte. Al giorno d’oggi il tatuaggio rimane un oggetto estetico, ma insieme alla sua funzione primaria ha aggiunto una rete di significati che proviene da più culture e si mescola sui corpi di chi li porta.

Prendendo esempio dalla cultura russa o da quella nipponica, il tatuaggio diventa un modo per marchiare sulla pelle un periodo o un episodio significativo della propria vita come se fosse un monito a non commettere più quell’errore o un memento della sofferenza, della gioia o del cambiamento vissuto in un particolare periodo della nostra vita. Se dal punto di vista personale, dunque, il tatuaggio ha queste funzioni a livello professionale ha sostituito in parte i quadri su tela: nel mondo ci sono diversi artisti che espongono le proprie opere come se fossero dei quadri. Compreso il fenomeno da un punto di vista laico, ci preme capire come viene inteso il tatuaggio da un punto di vista prettamente religioso.

Prendendo ad esempio il Levitico e quindi la Bibbia ogni alterazione del corpo donatoci da Dio è un peccato grave, poiché risponde ad una mancata accettazione della volontà divina. Per la dottrina, insomma, chiunque modifichi permanentemente il proprio corpo con un tatuaggio si mette in condizione di peccato. A questa interpretazione dottrinale risalente ad una cultura antica, si assomma il timore che i tatuaggi siano delle porte che permettono al demonio di prendere possesso del nostro corpo. Tale convinzione è data dalle dichiarazioni di Anton Lavaey, fondatore della Chiesa di Satana, il quale scriveva nel suo primo libro che ogni singolo tatuaggio anche il più innocente c’è il satanismo, poiché è proprio la chiesa di satana che ne avrebbe voluto la diffusione.

Da Luca Scapatello 

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