Il bisogno di essere visti

In occasione della “Giornata nazionale” contro il bullismo e il cyberbullismo, facciamo il punto con la psicoterapeuta Angela Di Leonardo sui rischi e sulle risorse per gli adolescenti

Il 7 febbraio si celebra la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, istituita nel 2017 su iniziativa del Miur.  Secondo i dati della Sorveglianza Health Behaviour in School-aged Children 2022, gli atti di bullismo subìti a scuola sono più frequenti nei più piccoli (11-13 anni) e nelle ragazze; anche il fenomeno del cyberbullismoèin crescita nelle ragazze e nei ragazzi di 11 e 13 anni. Ne parliamo con la psicoterapeuta Angela Di Leonardo che lavora presso lo sportello “Offline” del progetto “In-dipendenze”attivo da più di tre anni negli spazi del Centro diaconale La Noce – Istituto valdese di Palermo, che prende in carico minori tra i 9 e i 17 anni che presentano disturbi da dipendenza da Internet o da altri dispositivi tecnologici, e propone consulenza psicologica per i fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo.

– Quali sono i segnali più comuni che un adolescente può manifestare se è vittima di comportamenti violenti e intenzionali da parte di un singolo o da più persone?

«I segnali più comuni hanno a che fare con la sfera del proprio comportamento, delle proprie emozioni, e dell’autostima: in genere l’adolescente vittima di bullismo o cyberbullismo ha una scarsissima autostima, e queste difficoltà si manifestano anche nella quotidianità: possono emergere disturbi del sonno, dell’alimentazione, attacchi di panico, di ansia, anche forme di “fobia scolare”, nel senso di rifiuto di frequentare la scuola. In alcuni casi ci può essere una vulnerabilità emotiva preesistente, nel senso che alcuni ragazzi hanno dei vissuti di depressione, di ansia sociale, di esclusione sociale, che rappresentano dei fattori di rischio. Quindi nel caso di ragazzi e ragazze che presentano già delle fragilità emotive e sociali, è più facile che diventino vittime dei bulli». 

– Quali sono le migliori strategie terapeutiche per aiutare un adolescente che sta affrontando comportamenti aggressivi? 

«La prima cosa importante da fare è “agganciare” questi ragazzi, fare in modo che possano sentirsi liberi di parlare di quello che succede loro, perché il più delle volte subentrano sensi di colpa, vergogna, paura. Questi ragazzi, avendo nella realtà difficoltà a parlare con qualcuno – che può essere un insegnante, un compagno, un familiare – si rifugiano nell’online dove esprimono il loro disagio; nella rete però possono ritrovarsi a essere più soli e vulnerabili. In questi contesti è fondamentale il ruolo della scuola: gli insegnanti sono chiamati a cogliere i segnali di cui parlavamo prima. Poi c’è la famiglia: incoraggiamo i genitori a essere vigili nel riconoscere i segnali di disagio dei propri figli, e ad avere un dialogo più aperto con loro, senza essere da un lato superficiali, minimizzando le problematiche, e dall’altro giudicanti o ipercritici». 

– Nel corso del lavoro che viene svolto nelle scuole all’interno del progetto In-dipendenze, ci sono stati adolescenti che hanno riconosciuto di aver avuto comportamenti da bulli? 

«Attraverso il lavoro in piccoli gruppi proposto in alcune scuole del quartiere Noce, in diverse occasioni i nostri educatori sono riusciti a far emergere vissuti legati a problematiche di bullismo e cyberbullismo. Ci ha molto colpito constatare che il cosiddetto bullo, confrontandosi con chi riusciva a esprimere il disagio di essere stato ferito o umiliato da un’azione o da una parola detta, era stupito e del tutto inconsapevole di aver esercitato violenza. Lavorando con ragazzi di terza media – adolescenti di 13 anni – spesso registro non solo la mancanza di consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti ma anche l’assenza quasi totale di empatia». 

– Eppure, l’adolescenza è il tempo in cui avviene l’esplorazione di tutta la gamma delle emozioni: perché questi ragazzi sembrano indifferenti?

«L’adolescente per definizione ha bisogno di essere visto, e viene visto soprattutto nella relazione con gli altri: soprattutto durante la pandemia, la rete è stato l’unico spazio in cui gli adolescenti hanno potuto vivere le relazioni, hanno costruito il proprio sé, e si sono narrati. Dopo la pandemia è stato difficile per loro riprendere una vita “offline”: posto che la rete non va demonizzata e che gli adolescenti hanno un sé digitale, ora occorre lavorare perché il mondo reale e il mondo virtuale si integrino secondo una logica di continuità dell’esperienza comunicativa». 

– E il mondo degli adulti quanta capacità ha di vedere gli adolescenti?

«Purtroppo molto poca! Abbiamo notato questa difficoltà soprattutto nelle famiglie. Nel corso del progetto nelle scuole, a esempio, oltre al lavoro con i ragazzi erano previsti degli incontri degli psicoterapeuti con i genitori. Dopo il primo anno abbiamo dovuto prendere atto che i genitori hanno quasi totalmente rifiutato questa opportunità: o minimizzando le problematiche legate alla dipendenza dei propri figli da dispositivi tecnologici, oppure delegando a insegnanti e ad altri servizi la gestione del problema. Pur essendo costantemente “connessi” tra loro – tutte le famiglie hanno oggi un gruppo whastapp! –, spesso i genitori sono assenti nella quotidianità dei propri figli, manca uno spazio di dialogo in cui possano emergere i disagi più profondi. È compito dei genitori costruire una relazione di fiducia, e io dico anche di complicità, con i propri figli che nasce dal mettersi in una posizione di ascolto e di condivisione di interessi. Si tratta di volersi impegnare nella costruzione di una relazione autentica: è in questo faticoso ma appassionante lavoro che forse riusciremo a dare ai nostri figli quegli strumenti efficaci per contrastare anche i rischi e i pericoli della rete».

https://riforma.it/2025/02/07/il-bisogno-di-essere-visti/


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