La coalizione guidata da Riyadh blocca l’arrivo di carburante necessario per far funzionare i pozzi. Oltre un milione di persone senza acqua a Taiz, Saada, Hodeida, Sana’a e Al Bayda. Secondo l’Unicef, 1,7 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta”; 150mila bambini rischiano di morire di stenti nelle prossime settimane. Il silenzio e l’incuria della comunità internazionale. La minaccia di colpire le navi-cargo del greggio. Ieri l’Arabia saudita ha permesso la riapertura dell’aeroporto di Sana’a e del porto di Hudayda, ma solo per gli aiuti umanitari. Una misura insufficiente.
Sanaa – L’Arabia Felice, culla della nazione araba, muore lentamente ogni giorno sotto una pioggia indiscriminata di ferro e fuoco dell’aviazione saudita e da un blocco totale di tutti i valichi aeroportuali, navali e terrestri. La coalizione guidata da Riyadh ha bloccato l’arrivo di carburante necessario per far funzionare i pozzi idrici. La Croce Rossa Internazionale ha lanciato l’appello: in città come Taiz, Saada e Hodeida un milione di persone sono prive di acqua salubre e l’acqua potabile manca anche a Sana’a e Al Bayda. Le Nazioni Unite continuano a definire quanto avviene in Yemen come la “più grande crisi umanitaria del mondo”. Ma lo Yemen, soprattutto i civili yemeniti ed i più deboli fra loro – donne, bambini, anziani e malati – rimangono isolati dal resto del mondo, ignorati, abbandonati.
Non è permesso far entrare nulla nel Paese eccetto fame, morte, distruzione ed ora la sete. Quello che qui avviene non è più una guerra, né un’invasione da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi, né una guerra islamo-confessionale come vuole far credere la stampa FILO-saudita. Ciò che qui succede sta manifestandosi come lo sterminio di un intero popolo. Alleati degli autori di questo genocidio sono le epidemie diffuse in seguito alla guerra, come il colera la cui diffusione “è la peggiore dei tempi moderni” e minaccia oltre un milione di persone. Ma secondo Alexander Faite, capo delegazione della Croce Rossa nel martoriato Paese, oltre a fame e colera, la minaccia viene dall’indifferenza mondiale, dal silenzio che in questi casi volenti o nolenti, si trasforma in complicità.
Nonostante giungano col contagocce, a causa di un’assenza mediatica significativa, le notizie catastrofiche iniziano a suscitare orrore anche nell’opinione pubblica statunitense dove ieri il famoso analista Roy Paul dell’Istituto per la Pace e la Prosperità ha scritto: “Ci viene detto che la politica estera degli Stati Uniti dovrebbe riflettere i valori americani. Quindi come puo’ Washington appoggiare l’Arabia Saudita – uno Stato tirannico con uno di peggiori registri in materia di violazione dei diritti umani al mondo – nel commettere quello, che al di là di ogni misura, costituisce un genocidio nei confronti del popolo dello Yemen?”.
Paul ha aggiunto critiche al coinvolgimento degli Usa dicendo che nello Yemen “stiamo combattendo a fianco di Al Qaeda” contro gli Houthi. A conferma di ciò, vi sono notizie circolate ieri secondo cui in Yemen contro gli Houthi, combattono anche i miliziani di Daesh fuggiti da Siria e Iraq.
La quantità di casi di violazioni ai diritti umani registrati nello Yemen dalle ong è allucinante. Secondo SAM l’Organizzazione per i Diritti e le Libertà con sede a Ginevra, “solo nel mese scorso sono stati registrati 716 casi di violazioni ai diritti umani contro civili”.
L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti ed i loro alleati hanno iniziato una guerra contro lo Yemen nel marzo 2015, quando il ricco vicino saudita ha invaso il Paese per respingere i ribelli Houthi e imporre di nuovo con la forza il governo rovesciato del pro-saudita presidente Abou Rabbu Mansour Hadi.
La coalizione creata dall’Arabia Saudita – composta anche molti mercenari professionisti non arabi molti dei quali dal Sudafrica – riceve armi e supporto logistico dagli Stati Uniti, e ha chiuso l’aeroporto della capitale Sana’a nel mese di agosto 2016, in piena violazione degli accordi di Michigan e delle leggi che regolano l’aviazione civile, isolando il Paese.
All’inizio di questo mese ed in seguito all’arrivo di un missile balistico yemenita fino a Riyadh, la “coalizione “ha deciso di imporre un blocco totale terrestre e marittimo, usando come arma di guerra la carenza di medicinali ed equipaggiamenti medici (soprattutto per le dialisi), di carburanti (con l’arrivo del freddo), di cibo e acqua. Da allora le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme: se l’embargo contro lo Yemen non viene levato, il mondo assisterà ad uno dei peggiori disastri mai conosciuti da decenni. L’Arabia Saudita continua a giustificare la sua azione per l’arrivo di un missile a Riyadh – a fronte di migliaia di missili, raid e bombe lanciati ogni giorno dalle forze saudite – continua a fare orecchio da mercante alla richiesta dell’Onu. E invece di far aprire l’aeroporto, la settimana scorsa ha bombardato la torre di controllo dell’aeroporto di Sana’a, distruggendo gli equipaggiamenti di gestione della navigazione aerea.
Le statistiche riguardo ai bambini sono terribili. Secondo l’Unicef, “oggi in Yemen 1,7 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta”; 150mila bambini rischiano di morire di stenti nelle prossime settimane; le scuole sono chiuse e l’istruzione ferma in quasi tutte le province yemenite; centinaia di scuole sono distrutte. Secondo dati dell’Onu, vi sono stati 38 attacchi da parte dell’Arabia Saudita contro scuole ed ospedali, e la guerra ha causato finora oltre 10 mila morti, più del 50% delle vittime sono donne e bambini; i feriti gravi sono 48 mila.
Sempre secondo l’Onu, 20,7 milioni di yemeniti necessitano di aiuti umanitari essenziali “per evitare una delle catastrofi peggiori create dall’uomo contro l’uomo”. Almeno 3,3 milioni sono gli sfollati interni, la cui sopravvivenza dipende dagli aiuti internazionali, dopo la distruzione delle loro case e il loro internamento nei campi profughi.
Annaya Jaber, poetessa araba, riferendosi al “mutismo del mondo dinanzi alla tragedia yemenita” ha imputato la causa di tale silenzio al fatto che ”i poveri non meritano che si alzi la voce per loro”, per non disturbare i Paesi ricchi della regione.
L’ultima arma di difesa degli yemeniti è la minaccia di colpire il nervo vitale dei Paesi ricchi: se non verrà levato il blocco “non esiteremo – hanno detto – a bombardare le navi-cargo del greggio che transitano per il Golfo Persico”. Questa minaccia ha avuto un certo effetto: nella serata di ieri, l’Arabia saudita, cedendo alle pressioni ha finalmente annunciato di “autorizzare l’apertura del porto di Hudayda e dell’aeroporto di Sanaa, ma solo per gli aiuti umanitari internazionali” e non per i voli civili. Khaled Al Shayef, direttore dell’aeroporto di Sanaa ha riferito che aprire l’aeroporto solo per gli aiuti umanitari e non “per il trasporto dei malati gravi e dei feriti che necessitano cure all’estero” è quasi inutile ed “insufficiente”.
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