Il loro cammino ci illumina

Di Cristian Nani, direttore di Porte Aperte in Italia

“Ma tu Dio l’hai mai visto? L’hai mai sentito parlare? O toccato con mano?”. Sono alcune delle comuni provocazioni di chi non crede in Dio. Un amico mi ha fatto notare quanto esse celino una visione povera e infantile dell’esistenza umana, relegata alla freudiana fase orale della crescita. 

È come se coloro che le pronunciano non avessero mai superato veramente quei primi mesi della vita caratterizzati dall’esplorazione del mondo attraverso la bocca, corpi adulti intrappolati in visioni infantili dell’esistenza in cui tutto va messo in bocca, mangiato, consumato coi sensi, costretti all’accumulo di cose e al consumo di beni e persone e relazioni, in costante apnea tra un’esperienza e l’altra, perché la vita è solo ciò che senti. Non camminano, al massimo gattonano nell’esistenza, manca una prospettiva eretta, più alta, quella che fa diventare grandi, in tutti i sensi. 

Lo sanno bene le madri. Non solo per la connessione speciale con la creatura che hanno portato in grembo, ma anche perché la donna nel parto soffre per qualcosa di più importante del sé, un amore superiore, “naturalmente altro” rispetto a sé stessa. E, se adeguatamente processato, quel dolore per una “causa maggiore” la costringe – qualora necessario – a maturare oltre la fase orale. Esplode in lei una bellezza che non ha nulla a che vedere con l’estetica, è oltre l’apparenza, chiunque abbia buon occhio lo percepisce. Lei si è elevata, spostandosi dal centro dell’universo, e poco importa se il centro ora è quel fagotto prezioso (cosa che, se permane negli anni, può generare idolatria); è l’esercizio di andare oltre sé che conta. Intravede il divino, perché forse Dio nella pena sembra inoculare anche la cura: la sofferenza non solo come pena quindi, ma anche come cammino salvifico scelto dal Cristo, e lei, noi, nel percorrerlo fedeli a Lui, afferriamo una rivelazione su di Lui più profonda, una maggiore vicinanza o somiglianza (“non la mia, ma la tua volontà sia fatta”). 

Ora, proviamo per un istante a pensare alla sofferenza delle nostre sorelle perseguitate… 

Soffrono per qualcosa oltre sé stesse, più grande delle loro singole esistenze: soffrono per Cristo, il primo e l’ultimo centro dell’universo (“tutto è stato creato per mezzo di Lui”). 

Il loro cammino ci illumina verso un passo di maturazione spirituale, poiché troppi di noi, assuefatti al benessere e ai diritti acquisiti, rischiano di bloccarsi in più o meno inconsapevoli credenti nominali o, se preferite, bambini spirituali, persone che hanno scelto di percorrere un tratto di vita che “fortuitamente” coincide con quello del Cristo… poi però arrivano le valli oscure, le prove, e lì si scopre che stavamo percorrendo una nostra via, non La Via, la quale prescrive un costo, una sofferenza, un parto, ossia una partenza verso un viaggio come nuove creature, il cui destino è sempre stabilito da Lui. 

Ma allora prenderci cura delle nostre sorelle perseguitate (figlie, madri, vedove) non risponde solo alle loro necessità di aiuto per resistere nella persecuzione, ma anche alle nostre necessità di crescere nelle opposizioni. 

Hanno bisogno di noi. Abbiamo bisogno di loro.

 https://www.fedepericolosa.org/il-loro-cammino-ci-illumina/


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