Il miracolo della riconciliazione

Egli stesso passò davanti a loro, e si inchinò fino a terra sette volte, finché si fu avvicinato a suo fratello. Ed Esaù gli corse incontro, l’abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò e piansero. Genesi 33:3-4

Lo ricordiamo per aver portato via la primogenitura al fratello Esaù con un piatto di lenticchie, o come il figlio protetto dalla mamma. Giacobbe è di certo tra i personaggi biblici più noto nelle sue vicende familiari, e lo è anche come chi non si dà per vinto e con ingegno sa recuperare la fatica di tanti anni. Dopo un ventennio lontano, lo ritroviamo ora sulla via del ritorno a casa. Ha maturato la decisione di riconciliarsi con il fratello. Come primo atto gli annuncia il suo arrivo: «Giacobbe mandò dei suoi messaggeri ad Esaù» (32:4). Sa che sarà un incontro difficile, quello col fratello ingannato, anche se un incontro straordinario nel guado dello Yabbòq (un affluente del Giordano) gli aveva dato consapevolezza che Dio era con lui. Dopo venti anni di esilio, le ultima miglia diventano pesanti. Giacobbe ha paura di tornare nelle terre del fratello ingannato, ma vuole incontrarlo per riconciliarsi. Esaù avrà dimenticato l’accaduto? Quando viene a sapere che il fratello avanzava verso di lui con quattrocento uomini, «Giacobbe ebbe molta paura e si angosciò» (32:7). Cerca così di prepararsi la strada, come si dice, inviando abbondanti doni al fratello nella speranza che lo plachino: «duecento capre e venti becchi, duecento pecore e venti montoni, trenta cammelle che allattavano e i loro piccoli, quaranta vacche e dieci tori, venti asine e dieci puledri» (32:14-15). Di tutto di più. Assistiamo alla pratica antichissima di usare i doni come prime parole. La preparazione dell’incontro tra Giacobbe ed Esaù ci rivela il legame profondo che esiste tra il dono e il per-dono. Giacobbe offre un dono alla ricerca del perdono di Esaù. Entrambi sono gesti gratuiti e di cuore, e noi comprendiamo così che il perdono non è mai un atto unilaterale, ma un incontro di doni.

Ancora zoppicante per la lotta con l’Eterno, il soppiantatore non esita a piegarsi ben sette volte davanti al fratello. Giacobbe rimane fedele al suo desiderio di mostrarsi “servo” del fratello e questa umiltà, percepita come autentica dal fratello, sblocca la situazione. Senza umiltà è impossibile ogni riappacificazione. Quel che accade ci lascia meravigliati. Il testo lo descrive in modo così enfatico, con una serie di verbi superiore a quelli usati da Luca nella parabola del padre amorevole (Luca 15:20). Incredibilmente Esaù non ricorda più il furto della primogenitura e la sua rabbia è dissolta in un affettuoso abbraccio. La storia della salvezza è un storia di “meraviglie” inaspettate, storie di uomini che diventano strumenti di benedizione. Il fratello offeso e temuto diventa addirittura riflesso del volto di Dio nella riconciliazione. La riconciliazione diventa una teofania. «No, ti prego, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, accetta il dono dalla mia mano, perché io ho visto il tuo volto come uno vede il volto di Dio, e tu mi hai fatto buona accoglienza» (Genesi 33:10). Ogni volta che il perdono entra in scena Dio è presente. I due separati diventano nell’abbraccio tutt’uno, ma non è ancora finita. Infatti, possiamo fare mille processi, ma la riconciliazione arriva solo quando riusciamo “a piangere insieme”. Chiunque abbia patito un torto, soprattutto da persone care, sa che quel dolore è troppo profondo per essere risarcito. La sola cura è l’abbraccio. E fin quando non si arriva a “piangere insieme”, la frattura e la lacerazione resterà troppo grande, e le ferite continueranno a sanguinare.

Paolo ricordava ai Corinzi che «tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione» (2Corinzi 5:18). Allora, prepara il tuo viaggio, preparati ad incontrare colui/colei che hai offeso, e assisterai a cose impensabili.

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Elpidio Pezzella | elpidiopezzella.org

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