IL PERDONO E LA COLLERA

IL PERDONO E LA COLLERA 1 parte

La rabbia e il perdono? Perché questo argomento?

Perché le questioni del perdono e della collera sono due aspetti molto frequenti che riguardano e caratterizzano i vissuti di molte persone.

E allora un breve trattazione di questi aspetti – nell’ottica di un aiuto – potrebbe rivelarsi utile ed efficace per molte persone, che dovessero vivere qualche problema in queste due aree particolari.

Il perdono è il messaggio centrale della Bibbia, ma a volte esso soffre di interpretazioni inappropriate.

Molti slogan hanno preso il posto di una lettura serena della Bibbia e della riflessione. Si sente dire che:

“Non perdonare significa non avere amore”;

“Non perdonare incondizionatamente significa esporsi a non ricevere il perdono id Dio”;

“Se non riesci a dimenticare, vuol dire che non hai perdonato”;

“Se hai ancora dei problemi vuol dire che non ha perdonato veramente”. 

Forse non ci si rende conto del fatto che molti slogan simili a questi sono abusivi: perché riescono a fare della vittima un colpevole.

E uno spostamento del genere è una perversione!

CASI IN CUI ENTRA IN GIOCO IL PERDONO

1 caso: l’offensore è cosciente della sua offesa e si pente. L’offeso è invitato a perdonarlo, come dice il testo di Luca 17: 3.

“Se tuo fratello pecca, riprendilo; e se si ravvede, perdonalo”.

Questo caso non pone grosse difficoltà e problemi.

2 caso: è il caso citato in Matteo 18: 15: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va e convincilo fra te e lui solo”.

Il testo della Bibbia è semplice: l’offensore riconosce poi la sua colpa e la gravità della situazione così come la vittima gliela descrive.

In questo passo di Matteo, Gesù spiega il percorso sempre valido.

Un procedimento che si riassume con queste parole: “Ecco quello che è successo, quello che mi hai fatto; quello che ho provato, ecco cosa questo ha fatto nella mia vita; quello che mi aspetto oggi da te”.

La vittima (dell’offesa) può allora accordare il suo perdono a colui che si pente.

L’offesa crea un debito nei confronti della vittima, un contenzioso.

L’offesa dell’altro infligge una ferita.

L’offesa, proprio perché ci fa male, suscita delle reazioni emotive.

La reazione sarà tanto più forte quanto più profonda è la ferita.

E se l’offeso reagisce male ?

Bisogna essere attenti a non confondere la maniera di reagire con il diritto a reagire, il debito con la ferita.

Se sono offeso, triste, deluso per il comportamento di qualcuno questo è legittimo, ma potrei esprimere male questa tristezza e questa delusione.

Se mi sentirò male per la mia reazione potrei confondere il male che ho provato (per l’offesa subita) con la reazione che ho avuto.

Invece le due cose vanno tenute distinte, su piani di responsabilità differenti l’uno dall’altro.

Perdono e riconciliazione

Il perdono può sfociare nella riconciliazione, ma questa non è obbligatoria.

3 caso: l’offensore rifiuta di riconoscere il male commesso.

E’ il caso più difficile, ma anche quello che si potrebbe incontrare più spesso nella relazione di aiuto (Counseling)

L’offesa ravviva un dolore, una piaga. I sentimenti normali (in questo caso) sono la tristezza e la collera (è normale provare la collera davanti all’ingiustizia).

Negare il proprio dolore significa mancare di rispetto verso se stessi.

La collera, infatti, non va negata; bisogna saperla esprimere.

LA COLLERA 

Di fronte ad un’offesa potremmo reagire in quattro maniere:

  1. Invece di riconoscerci vittime ed essere in collera, proviamo senso di colpa e vergogna. Questi sono sentimenti sostitutivi rispetto a quelli che dovremmo autenticamente provare. E così facendo distruggiamo noi stessi;
  2. Siamo sommersi da una collera eccessiva che si trasforma in odio, violenza e desiderio di vendetta.

L’odio si esprime quando la collera non è detta, non è espressa.

Se la collera non viene detta potrebbe tramutarsi in violenza (che sarebbe il passaggio all’azione dello stato d’animo interiore);

3. Siamo in collera e questo scatena un afflusso di energia nel nostro corpo.

Se in questo caso consideriamo la collera come negativa o come un peccato, non autorizziamo noi stessi né a provarla né a esprimerla.

La neghiamo e la rimuoviamo (nascondiamo).

Mancando di rivolgerla verso il nostro offensore, come sarebbe giusto, normale e sano, la rivolgiamo contro noi stessi.

Se facciamo questo regolarmente, rischiamo di sviluppare, col tempo, delle malattie psicosomatiche, come l’asma, un’ulcera, l’ipertensione, l’emicrania e, soprattutto, la depressione (la collera contro se stessi è la causa principale della maggior parte delle depressioni).

Del resto, a che serve rimuovere la collera? Prima o poi riverrà fuori!

Quindi conviene es-primerla.

4. In caso di ingiustizia, ossia di violazione di un diritto essenziale, soprattutto quando siamo bambini, esprimiamo la nostra collera. E’ la reazione più sana.

La collera (come il dolore per il corpo) ha una funzione di allarme: essa ci segnala che qualcosa non va. Ci avverte di un problema.

La collera nell’infanzia

E’ nell’infanzia che dovremmo imparare il giusto modo di esprimere la collera.

Ma quando eravamo bambini ci veniva dato/riconosciuto il diritto di arrabbiarci, senza avere paura – con ciò – di perdere l’amore dei nostri genitori ?

Il bambino che i genitori rimproverano perché è arrabbiato conclude che egli è rigettato, non amato.

Invece deve pensare che può essere arrabbiato e nonostante ciò continua ad essere amato.

Quando subivamo un’ingiustizia, avevamo il diritto alla collera, all’indignazione, prima di concedere il perdono?

Alcuni genitori non hanno insegnato/non insegnano che la collera è necessaria e buona.

Probabilmente la visione di questi genitori è quella di confondere la collera con la violenza e, quindi, di rifiutare ogni collera per paura della violenza.

La collera nella Bibbia

Nella parola di Dio vi sono 600 riferimenti riguardanti: collera, ira, furore, indignazione, rabbia.

Un terzo di questi riferimenti parla della collera dell’uomo; due terzi della collera di Dio.

Per l’amore ci sono 350 riferimenti.

Tra i riferimenti della collera ce ne sono diversi riguardanti la collera buona ed altri relativi alla collera cattiva.

La collera buona: è l’espressione normale, giusta e salutare dell’ingiustizia.

Ad esempio:

  • la collera che Dio prova di fronte ai peccati degli uomini;
  • l’indignazione di Gesù verso i Farisei, in merito all’indurimento del loro cuore dopo una guarigione in giorno di sabato

Anche la collera che Paolo chiede di avere in Efesini 4: 25 – 28 quando scrive: “Adiratevi” è una collera buona. Non dice: “Se voi vi adirate”; usa un imperativo! Questo testo è in relazione con il cammino nella verità con il proprio prossimo. Essere vero con il proprio prossimo, vuol dire anche autorizzare se stesso ad essere in collera davanti alle ingiustizie subite.

La collera cattiva

Vi è poi una collera violenta, aggressiva.

Questo è i tipo di collera che dobbiamo evitare, a causa delle sue reazioni inconsiderate.

E’ il caso di Erode che, preso da una grande collera, manda ad uccidere i neonati giudei di Betlemme (Matteo 2: 16).

E’ sempre questa collera di cui parla Paolo in Galati 5: 20, a proposito dei frutti della carne: “Ora le opere della carne sono: … ire“.

In contrapposizione ai frutti della carne egli contrappone i frutti dello Spirito. Uno tra questi, tradotto con “paziente” è la “lentezza all’ira”.

Lentezza all’ira significa un’ira che non è pronta a esplodere. Ma che c’è.

Dunque la Bibbia non dice di non avere la collera, ma di saperla gestire.

La collera cattiva può essere tale non solo per il suo tipo di reazione (violenta e inconsiderata), ma anche per la sua motivazione.

Erode, ad esempio, non è solo adirato violentemente, ma ce l’ha con Gesù, mentre lui non gli ha fatto del male.

Un altro testo, che rappresenta un valido riferimento per l’indicazione della collera cattiva, è il seguente: “Il sole non tramonti sopra la vostra ira” (Efesini 4: 26).

Si tratta della collera che cova (quella che non è espressa).

Per evitare una tale situazione è utile tenere conto di un altro consiglio e raccomandazione (ai genitori) indicata sempre dall’apostolo Paolo:

“Padri, non irritate i vostri figli” (Efesini 6: 4).

Questa raccomandazione invita i genitori a non provocare ad ira i propri figli, poiché allora saremmo nella situazione di una collera giusta che magari poi non sapendo o potendo esprimere si trasformerebbe in una collera che cova.

La collera verso i genitori

Per giustificare l’interdizione a poter provare dell’ira molti genitori si avvalgono del seguente testo biblico:

“Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà”.

Qui siamo nell’ambito del rapporto con il prossimo (mio padre e mia madre) .

Si è spesso confuso il concetto di ‘onorare il padre e la madre’ con il venerarli.

Il termine ‘onorare’ (Kabèd) significa: “dare del peso”. L’onore indica, quindi, il valore reale di qualcosa, stimato con il suo vero peso.

Il rispetto è il “peso accordato”.

Dunque “onorare il padre e la madre” significa riconoscere il giusto peso all’educazione ricevuta; cioè fare una valutazione critica e riconoscere ciò che è stato buono, meno buono, perfino del tutto cattivo.

Il diritto di inventario

La conseguenza (coerente) di quanto appena detto sopra è quella per cui i genitori devono riconoscere ai figli il diritto di inventario su ciò che hanno da loro ricevuto.

Quando questo non viene riconosciuto si costruisce quello che è definibile come il “complesso di Noè”, ovvero la proibizione – da parte dei genitori nei confronti dei propri figli – di “farsi mettere a nudo” da loro; ovvero di impedire di dare uno sguardo a ciò che i genitori hanno trasmesso ai figli e al modo in cui è stato fatto; sviluppando, così, il tabù del diritto di inventario.

Questo divieto si accompagna alla minaccia che se qualcuno guarda i genitori e li vede ‘nudi’, la maledizione cadrà su di lui.

In altre parole, impedire il diritto d’inventario significa ostacolare uno sguardo critico, cioè una valutazione positiva o negativa, su ciò che si è ricevuto dai propri genitori, sia in bene sia in male.

Prigioniero della collera 

Es-primere la collera è utile; ma rimanervi incastrati no.

I benefici secondari della collera cattiva

Quando qualcuno manifesta la propria collera in maniera cattiva pensa, così, di avere in mano il controllo della situazione, di manifestare potenza, rispetto alla sua impotenza passata.

Usa la collera per affermare la propria ragione.

Ma cosa è che conta: affermare la propria ragione o raggiungere un maggiore benessere ?

Per mezzo della collera la persona cerca di aggrapparsi al suo ruolo di vittima.

Lasciando la collera, viceversa, egli dovrebbe lasciare questo ruolo.

Ciò non toglie il fatto che egli sia stato veramente vittima, ma questo ruolo non dominerà più la sua identità e la sua vita emozionale.

Egli può esistere e domandare giustizia senza essere prigioniero di questo ruolo di vittima.

Chi vuole tenersi aggrappato alla collera lo fa anche per evitare di prendersi la responsabilità di ciò che sta succedendo.

La seconda parte di questo articolo seguirà a breve

Enzo 340 / 3094547; E-mail: enzo_maniaci@libero.it

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