IL PKK DEPONE LE ARMI, LA TURCHIA NO

Ovviamente il mio auspicio è che la questione si risolva alla sudafricana (con la liberazione dei prigionieri, la fine delle discriminazioni, la possibilità per il movimento di liberazione di svolgere attività politica legale senza subire la solita, sistematica repressione…) e non alla colombiana (con ritorsioni, esecuzioni extragiudiziali nei confronti di decine di ex combattenti. sindacalisti, indigeni, oppositori …).

Quindi, per rispetto alla lotta di autodeterminazione condotta dal popolo curdo e agli innumerevoli caduti (oltre 50mila), non mi permetterei mai di criticare (oltretutto comodamente da casa) la decisione del PKK di auto-scioglimento e di consegna delle armi dopo l’appello in tal senso di Abdullah Öcalan.

Tuttavia permane una buona dose di inquietudine in quanto la nuova situazione potrebbe fornire a Erdogan & C. la possibilità per risolvere la questione una volta per tutte. A modo suo naturalmente.
Attaccando – direttamente o indirettamente, gli ascari non gli mancano – un movimento curdo non proprio inerme, ma comunque disarmato.
Preoccupa in tal senso il comunicato del ministero della Difesa turco del 15 maggio. Con cui si certifica che l’esercito turco proseguirà nelle sue operazioni contro il PKK “fino a quando la regione sarà ripulita”. In riferimento alle aree del nord Iraq dove si concentra maggiormente la guerriglia curda.

Come appunto ha poi confermato in conferenza stampa un portavoce del ministero, le operazioni militari turche “nelle zone utilizzate dall’organizzazione terrorista separatista PKK proseguiranno con determinazione fino quando la regione sarà ripulita e non costituiràpiù una minaccia per il nostro paese”.

Stando alle prime indiscrezioni, i servizi segreti turchi supervisioneranno la raccolta delle armi del PKK con la collaborazione delle forze irachene e siriane. ma non di osservatori internazionali dell’ONU come chiedevano i curdi.

Gianni Sartori


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