Il ravvedimento secondo la Bibbia

Ravvedimento. gr. metanoia, cambiamento di mentalità, d’intenzione. E’ la tristezza che si prova per i propri peccati ed il dolore di aver offeso Dio

1.    Sua necessità.
Se la fede è la condizione essenziale per la salvezza (Ef. 2:8-10; Atti 16:31), essa dev’essere
accompagnata da un vero ravvedimento. Il primo messaggio dell’Evangelo è: « Ravvedetevi e credete!», (Mar. 1:15; cfr. Matt.3:2,1 1; 4:17; Mar. 1:4; Luca 3:3). Gesù è venuto per salvare non dei giusti (non ve n’è, alcuno), ma dei peccatori che, nell’umiliazione, si riconoscono tali (Matt. 9:12,13). «Se non vi ravvedete, perirete tutti nello stesso modo». (Luca 13:3; cfr. Atti 2:38).

2.Le sue tappe.

a) La convinzione di peccato, il dispiacere profondo d’aver offeso Iddio. Solo lo Spirito Santo può produrre questa convinzione (Giov. 16:8). Attristato egli stesso (Ef. 4:30), egli spande la sua tristezza nel cuore che vuol guadagnare. E questa «tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi» (2 Cor. 7:9,10). La coscienza sincera è vivamente toccata, anche nei pagani privati di certi lumi (Rom. 2:14,15), giacché ogni uomo sa con certezza d’aver infranto la legge morale. Tipica e l’esperienza di Davide: assillato dal dispiacere per il suo fallo, egli vede d’aver peccato soprattutto contro Dio (Sal. 51:4-7).

b) La confessione. Molti sanno benissimo d’aver male agito, ma non vogliono chiederne perdono a Dio. Davide, quando restava nel silenzio, non trovava alcun riposo; ma non appena ebbe riconosciuto e confessato ils u o crimine davanti al Signore, ottenne immediatamente l’assicurazione del perdono (Sal. 32:1-5; 1 Giov. 1:8,9).

c) Abbandonare il male. Il vero pentimento produce un disgusto del peccato, l’abbandono di cattive abitudini seguite fine a quel momento. Si tratta, con un cambiamento di vita, di «produrre frutti degni del ravvedimento» (Luca 3:8). Paolo predicava dappertutto il ravvedimento e la conversione a Dio, «facendo opere degne del ravvedimento» (Atti 26:20).

d) La completa sottomissione a Dio. E’ la conversione e il grido dell’uomo atterrato che grida: «Signore, che vuoi che io faccia?», (Atti 9:6; cfr. 26:20). Il ravvedimento nei confronti di Dio non ha effetto che quando è seguito dalla fede in Gesù Cristo (20:21), giacché da sé stesso non può in alcun modo cancellare il peccato. Esso dispone il cuore all’umiliazione ed all’accettazione del perdono, che solo Gesù Cristo ci ha acquistato alla croce. Ciò risulta particolarmente da i Giov. 1:7 a 2:2.

e) La perseveranza in un atteggiamento costante di ravvedimento. Finché saremo quaggiù, dovremo fare progressi, riportare vittorie (1 Giov. 3:2,3). Non siamo obbligati a peccare, ma la possibilità di farlo è sempre presente, soprattutto se teniamo presenti testi come Giac. 4:17; 1 Giov. 3:16; Matt. 5:48. Un cristiano, al quale la coscienza non parla più, si trova in uno stato terribilmente pericoloso (Ap.3: 17). Giovanni scrive ai figli di Dio: «Se diciamo d’esser senza peccato, inganniamo noi stessi.., lo facciamo bugiardo». (1 Giov. 1:8,10). Paolo ci avverte che noi possiamo sempre rattristare lo Spirito di Dio che è in noi (Ef. 4:30). Che deve fare dunque il credente, convinto di un fallo nel suo cammino giornaliero? Non contentarsi di un grande atto di pentimento fatto al momento della sua conversione, ma perseverare ogni giorno in un atteggiamento di ravvedimento, confessare subito ogni peccato riconosciuto e afferrare la purificazione offertagli dal sangue di Cristo sparso sul Calvario. Egli conoscerà il «camminare nella luce» di cui parla Giovanni (1 Giov. 1:6,7), e la potenza dello Spirito Santo lo farà progredire ogni giorno sulla via della santificazione.

Un tale ravvedimento è un dono di Dio (Atti 5:31; 11:18; Rom. 2:4; cfr. 2 Tim. 2:25; 2 Piet. 3:9). Senza il suo aiuto e senza il suo Spirito, è impossibile ravvedersi. Quelli che deliberatamente e fino all’ultimo hanno respinto Cristo e rifiutata la sua salvezza, non possono esser condotti al ravvedimento (Ebr. 6:6; 10:26,27). Conosceranno forse il rimorso tardivo, un pentimento superficiale e inefficace come quello d’Esaù davanti alle conseguenze del suo atteggiamento profano (12:16,17); o anche il pentimento disperato di Giuda, che lo condusse solamente al suicidio (MatL 27:3-5).

E’ la tristezza del mondo, che produce la morte (2 Cor.7: 10), mentre il vero ravvedimento è il grande rimedio a tutte le nostre difficoltà, giacché nella nostra vita non c’è che un solo vero problema: il peccato. L’appello che Dio rivolge al mondo come anche alla Chiesa è sempre: «Ravvediti!» (Atti 17:30; Ap. 2:5,16,21,22; 3:3,20). Egli ci dà del tempo perché possiamo farlo; ci assicura che il ravvedimento allontanerà il castigo. Giacché, nella sua misericordia, non può resistere a chi grida umilmente: «Sii placato verso di me peccatore!» (Luca 18:13).

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