Il saggio è colui che sa di non sapere”. Ma i saputelli della rete questo non lo sanno

Nella storia non c’è stato nulla di più prezioso della saggezza degli antichi. Il filosofo greco Socrate considerava un errore parlare senza conoscere un argomento. Per lui era più utile tacere e continuare a imparare anziché credere di conoscere l’intero scibile umano. Fu in questo contesto che pronunciò la famosa frase “il saggio è colui che sa di non sapere”. Sui social network questa regola è completamente ignorata, messa sotto i tacchi da quanti si improvvisano esperti di tutto senza essere esperti di nulla, se non di ricamo o di cucina.

Gente che impone le proprie osservazioni come se fossero parole del Vangelo, palesando una presunzione sconfinata. La conoscenza non può essere diffusa da chi ignora la conoscenza stessa. Perfino la Bibbia avvertì che parlare senza conoscere una questione è segno di stupidità e di stoltezza. Certo, sarà pure vero che in questo Paese scapestrato ognuno ha diritto di parola. Lo garantisce la Costituzione. Ma è anche vero che la prima regola della comunicazione è quella di parlare solo di argomenti che si conoscono bene. Sarebbe assurdo se una persona priva di istruzione o di esperienza su una specifica materia divulgasse il suo parere spacciandolo per verità indiscutibile. Un medico dovrebbe allora parlare solo di medicina, uno psicologo di psicologia, un antropologo di antropologia, un sociologo di sociologia.

Che credibilità potrebbe avere un prete se si mettesse a parlare di di zoologia o chimica? Questo è proprio ciò che avviene sulla rete dove una massa di persone senz’arte né parte si improvvisano tutti esperti di politica internazionale, di alta finanza, di economia, di antropologia, spesso senza aver studiato o praticato nemmeno una di queste materia. Sono i sapientoni della rete. L’esercito di saputelli che non ha nulla da dire ma lo dice lo stesso perché ciò che conta è elevarsi al di sopra degli altri, dimostrando di essere ciò che spesso non si è. E poco importa se Umberto Eco avesse accusato i social di dare libertà di parola a una “legione di imbecilli” che prima discutevano al bar e adesso discutono sulla rete come se fossero tutti dei Premi Nobel. Poiché anche su di lui il popolo del web pronunciò la sua <<dotta>> opinione. Qualcuno lo definì perfino un ignorante retrogrado, proprio lui che ha insegnato semiologia a una generazione di scrittori.

Ma la rete è anche questa: il trionfo della presunzione. Uno strumento tecnologico che ha premiato la comunicazione e danneggiato l’informazione, rendendo ancora più difficile capire dove abita la verità e dove dimora la menzogna. Un pandemonio mediatico dove il grano è soffocato dalla zizzania e tutti, pure lo “scemo del villaggio”, possono divulgare perle di insuperabile di ignoranza che qualcuno fa passare per un dogma indiscutibile. Un’abitudine dannosa per la collettività, perché tende a riempire i social di “spazzatura” senza dare nemmeno il tempo di accertarsi della verità, tanti sono i galli che cantano e che seminano il web di baggianate da fare chiedere se non sia il caso di limitare e regolamentare l’uso della rete.

Mario Barbato

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