IL SEMINATORE DEL SEME DELLA LIBERTÀ

TESTO MARCO 4:1-9

“… Avanzava pel campo direttamente, con una lentezza misurata. Gli copriva il capo una berretta di lana verde e nera con due ali che scendevano lungo gli orecchi, all’antica foggia grigia, un sàccolo bianco gli pendeva dal collo per una striscia di cuoio, scendendogli davanti alla cintura, pieno di grano. Con la manca teneva aperto il sacco, con la destra prendeva la semenza e la spargeva. Il suo gesto era largo e sapiente, moderato da un ritmo uguale. Il grano, invallandosi dal pugno, brillava come faville d’oro e cadeva sulle zolle umide, egualmente ripartito. Il seminatore avanzava con lentezza, affondando i piedi umidi nella terra cedevole, levando il capo nella santità della luce. Il suo gesto era largo, gagliardo, sapiente, tutta la sua persona era semplice, sacra e grandiosa…” Così scriveva lo scrittore Gabriele D’Annunzio nel suo romanzo “l’Innocente” del 1892, intento a descrivere il duro lavoro del contadino nell’atto del seminare, dal cui raccolto, che resta sempre incerto, trae il sostentamento per sé e per la sua famiglia. Similmente è suggestivo il dipinto ad olio di Vincent Van Gogh, “Il Seminatore al tramonto”(1888). In esso campeggia il giallo del sole e il viola del campo oltre che della figura del contadino. Una scena di fatica contadina portata avanti sotto un sole ancora caldo. La semina era fatta manualmente fino a qualche tempo fa. In genere a Ottobre i contadini, tenendo un sacco di semi a tracolla, come l’agricoltore del dipinto di Van Gogh andavano nei campi e, procedendo lentamente, spargevano i semi a destra o a sinistra, con il lungo gesto del braccio.

Sia il testo di D’annunzio che il dipinto di Van Gogh ci richiamano, non certo senza fascino, la parabola evangelica del seminatore tramandata dai Vangeli sinottici. Se seguiamo il testo di Marco possiamo notare che il racconto parabolico è preceduto da racconti che fanno risaltare l’incredulità della classe religiosa dirigente d’Israele e persino della sua famiglia che lo crede addirittura pazzo. Il tema centrale del racconto parabolico del cap. 4 di Marco è il seme. La cornice dentro la quale si snoda l’insegnamento di Gesù è la riva del Mar di Galilea o Lago di Gennesaret, dove si accalcava una folla numerosa per ascoltare Gesù seduto su una barca, che sembra essere una sorta di pulpito galleggiante. La folla appare essere più duttile nel ricevere l’insegnamento di Gesù, contrariamente ai capi religiosi che lo avversavano. Egli inizia ad insegnare, raccontando la parabola del seminatore. Egli esordisce invitando l’uditorio all’ascolto solenne della Parola di Dio. Egli dice: “Ascoltate…” Con questo imperativo Gesù non intende richiamare l’uditorio a stare attenti come l’insegnante richiede l’attenzione dei suoi alunni. L’invito di Gesù ad ascoltare è un appello alla folla di Galilea perché sappia riconoscere l’ora della storia della salvezza che Dio ha riservato ad essa. Gesù chiede alla folla di porre la loro attenzione, perché egli sta per dire qualcosa di grande importanza. Se si considera l’imperativo antico testamentario di Dio al singolare: “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze… (Deut. 6:4-6), come un tempo Mosé, ma superando l’antica legge, Gesù propone alla folla il disegno di Dio. Di seguito, Gesù narra diverse storielle tratte dalla vita dei campi. La prima delle quali è quella che a noi interessa particolarmente. E’ la cosiddetta parabola del Seminatore o la parabola dei diversi terreni. Se noi osserviamo attentamente l’azione del seminatore, cogliamo una tecnica della semina scriteriata secondo la metodologia occidentale della seminagione. Secondo la parabola la semina avviene prima dell’aratura. Ed è in effetti questa tecnica che prevale nella Palestina del tempo. La seminagione avveniva a Novembre, quando le prime piogge avevano reso umido il terreno disseccato. La semenza era sparsa nei campi prima dell’aratura. Il seminatore attraversava il campo pieno di stoppie, gettando il seme sui viottoli tracciati dagli avventurieri, perché il suo intento era quello di arare anche quelli. Egli dissemina il suo seme anche tra la sterpaglia per sotterrarla insieme col seme. E’ sorprendente che molti chicchi cadessero sulla roccia, ma non stupefacente, se noi consideriamo che spesso le rocce calcaree erano coperte da un sottile strato di terreno molliccio, di modo che era difficile riuscire a distinguerle dal resto del campo. Il narratore della parabola presenta complessivamente un terreno frastagliato su cui egli semina: la strada tutta calpestata, la roccia, il terreno ricoperto di spine e il terreno buono, offrendo condizioni del tutto differenti per la crescita del seme. I chicchi seminati sulla strada sono divorati dagli uccelli prima dell’aratura. Sulla roccia il seme non può mettere radici profonde: esso viene fatto seccare dal calore dei raggi del sole. Anche il seme gettato tra le spine non ha migliore sorte: esso viene soffocato dalle spine. Solo il seme caduto sul terreno buono porta frutto, rendendo il trenta, il sessanta e il cento.

Che cosa vuole Gesù trasmettere con una siffatta piacevole storiella? Questa parabola è intesa come una parabola di contrasto. Da un lato in essa è descritta il lavoro spesso infruttuoso del contadino, dall’altro contrappone al maggese incolto il campo con i frutti maturi. Gesù è ottimista nonostante la predicazione sembra essere a volte infruttuosa e priva di successo: il Regno di Dio registrerà un raccolto tanto ricco da superare ogni aspettativa. Il punto di paragone della parabola non è il seminatore, ma il terreno. Benché il terreno non sia ideale e molti semi che vi germogliano non portano frutto, il raccolto è comunque ricco. La parabola infatti finisce con una nota incoraggiante: il Regno ha uno sviluppo inarrestabile, cresce e produce. Dio è al lavoro in Gesù e il Vangelo produce frutto al di là dell’apparente fallimento. La parabola assume un duplice significato: per prima cosa l’evangelo è un messaggio di vita che incide profondamente nelle strutture sociali e negli uomini a cui esso è rivolto. Come allora anche adesso sono molteplici le forze oppositrice all’evangelo: il benessere, il facile e dissacrante edonismo, l’ateismo, l’assoluta fiducia nella ragione e nella scienza, senza contare il formalismo religioso e alcune religioni aggressive apertamente ostili al Cristianesimo. Ma queste forze ostili all’evangelo, per quanto poderosa e feroce possa essere la loro opposizione, tuttavia non impediscono l’avanzata e l’affermazione dell’Evangelo. Come il Messia – Seminatore era ottimista, credendo che l’annuncio dell’Evangelo avrebbe portato successo, nonostante l’apparente fallimento iniziale, così i cristiani mostrano fiducia e ottimismo nell’annuncio dell’Evangelo in un ambiente ostile, incassando anche umilianti insuccessi, perché il Dio nascosto, che agisce nella persona, insegnamento e opera di Gesù, renderà fruttuosa la fatica dei cristiani-seminatori (non dimentichiamo che è particolarmente prezioso il sangue versato dei testimoni di Gesù, perché esso è frumento santo che rende la semente fruttuosa, attraverso cui biondeggiano i campi arati della società umana)

In secondo luogo, l’ascolto dell’Evangelo è anche un momento di verifica della profonda incisività di esso nella vita del credente. A quale livello è caduto il seme di vita nella vita del cristiano? Esso è penetrato nei meandri della vita interiore oppure ha appena scalfito l’emotività, ha appena stuzzicato l’intelletto, l’adesione all’evangelo è stata una semplice adesione intellettuale o una rabbiosa reazione alla religiosità istituzionale come può essere il Cattolicesimo in Italia, o l’Anglicanesimo in Inghilterra, il Luteranesimo in Germania? Ovvero esso ha iniziato un profondo e radicale processo di rinnovamento interiore che si traduce in pensiero, azione e condotta che conferiscono quasi “un corpo“ alla fede? La parabola del Seminatore si staglia dunque su due binari: essa incoraggia il credente – seminatore a persistere nel processo di seminagione, perché “chi semina con le lacrime mieterà con giubilo. Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni” (Salmo 126:5-6). Nello stesso tempo ci interroga: A che profondità è caduto il seme della libertà: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giov. 8:31-32)

Paolo Brancè | Notiziecristiane.com

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