Il silenzio delle chiese

Come si comportarono le chiese cristiane quando nel novembre del 1938, in Germania, furono incendiate centinaia di sinagoghe?

(Manfred Gailus) Nel novembre del 1938, 1400 sinagoghe furono distrutte, oltre 7500 negozi di ebrei furono saccheggiati, centinaia di case e appartamenti furono devastati e i loro abitanti umiliati, feriti e derubati. Gli atti di violenza fecero circa 1400 vittime. A partire dal 10 novembre oltre 30.000 uomini ebrei furono mandati in campi di concentramento. Le chiese protestanti e quella cattolica romana restarono in silenzio.

Paura e indifferenza
Le due grandi confessioni erano le sole istituzioni rimaste nella Germania nazista a non essersi immediatamente allineate al regime e quindi avrebbero potuto parlare. Ma vescovi e soprintendenti, professori di teologia, sinodi, e la maggior parte dei pastori e dei preti, le comunità e il popolo dei fedeli, restarono in silenzio. Il silenzio contraddistinse il comportamento delle chiese di fronte alla violenza. Fu il silenzio imbarazzato, il silenzio indotto dalla vergogna, l’orrore muto. Un silenzio nato dalla paura, perché chi apriva la bocca per criticare rischiava grosso. E anche il silenzio del tacito consenso o della tacita approvazione degli eccessi di violenza.

Senso di colpa e rimorso
L’11 novembre il pastore confessante di Elberfeld, Hermann Klugkist Hesse, annotò nel suo diario: “La sinagoga sta bruciando completamente. Ieri sera anche la cappella del cimitero ebraico è stata rasa al suolo dalle fiamme. Dicono che le lapidi siano state rovesciate. (…) In Genügsamkeitstrasse hanno giocato a calcio con le Bibbie ebraiche”. E il 12 novembre: “Ieri Tudi ha fatto una passeggiata fino a Weinberg. C’erano tante, tantissime persone davanti alle macerie, ma tutte mute. Mute”.

Il silenzio delle chiese

Qualche giorno dopo, il pastore scrisse al figlio Franz: “Da un lato sono stato molto contento di non aver dovuto predicare il giorno della penitenza, soprattutto perché molte chiamate dalla comunità mi hanno invitato alla cautela […] Dall’altro lato sono dispiaciuto che, per esempio nella predica che il pastore Rabius […] ha tenuto questa mattina, non una parola sia stata detta riguardo a ciò che ci preoccupa tutti. Voglio dire, nella predica io avrei dovuto riflettere, con la comunità, con estremo cordoglio, su quello che è successo nel nostro mezzo, nel mezzo della comunità cristiana, nel mezzo di un popolo che vuole comunque essere cristiano. Dolore, sofferenza, tristezza – questo avrebbe dovuto caratterizzare la predica del giorno della penitenza, non per i fatti accaduti in quanto tali, ma perché sono accaduti in mezzo a noi. Non avremmo dovuto essere luce e sale in modo completamente diverso, sì da scongiurare il verificarsi di fatti del genere?”.

Teologia nazionalista
Nella Germania degli anni Trenta, dopo l’ascesa al potere di Hitler, nelle chiese evangeliche avevano assunto una notevole influenza i cosiddetti “cristiani tedeschi”, i quali propagavano una teologia nazionalista e uno sfacciato antisemitismo. Molti dei loro adepti, tra i quali numerosi pastori, avevano accolto con favore le leggi razziali di Norimberga del 1935 e non pochi cristiani tedeschi approvarono tacitamente anche le violenze del novembre 1938.

Il silenzio delle chiese

 

Non avremmo dovuto essere luce e sale in modo diverso, sì da scongiurare il verificarsi di fatti del genere?

 

Il pastore Friedrich Peter, ad esempio – membro di spicco dei Deutsche Christen(cristiani tedeschi), dal 1933 al 1935 vescovo di Magdeburgo, successivamente trasferito al duomo di Berlino dal ministro del Reich per gli affari ecclesiastici Hanns Kerrl -, una settimana dopo i pogrom tenne a Düsseldorf l’orazione ai funerali di Stato del segretario dell’ambasciata tedesca a Parigi Ernst vom Rath: “Oggi, davanti a questa tomba aperta, chiediamo ai popoli della terra, chiediamo ai cristiani di tutto il mondo: che cosa volete fare contro lo spirito del popolo del quale Cristo dice: ‘Il suo Dio è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità’? Noi tedeschi abbiamo imparato che bisogna chiedere a Dio grandi idee e un cuore puro. Ma che dire di Giuda, il cui Dio è stato omicida fin dal principio?”.

Il silenzio delle chiese

Il 20 novembre, il teologo dei Deutsche Christen Immanuel Schairer, di Stoccarda, scrisse un commento favorevole ai pogrom, nel quale si richiamò all’opera di Lutero Degli ebrei e delle loro menzogne, di cui citò le sette misure di “aspra misericordia” in esso raccomandate, tra cui dare fuoco alle sinagoghe e distruggere le loro case.
Immediatamente dopo i pogrom, il vescovo regionale della Turingia, Martin Sasse, inviò al corpo pastorale della Turingia il suo scritto Martin Luther und die Juden: Weg mit ihnen! come strumento per argomentare. Nel “Kirchlichen Amtsblatt für Mecklenburg”, bollettino ufficiale della Chiesa del Meclemburgo, il 24 novembre apparve un “monito sulla questione ebraica”: nessun tedesco cristiano poteva “deplorare” le misure adottate contro gli ebrei nel Reich.
La nostra compassione cristiana, vi si leggeva, non doveva essere rivolta agli ebrei, ma ai popoli d’Europa truffati e sfruttati dall’ebraismo. La lotta contro l’ebraismo era una questione di vitale importanza per l’anima tedesca.
Il teologo di Göttingen Emanuel Hirsch, allievo del celebre storico del cristianesimo Karl Holl, scomparso nel 1926, alla fine di novembre del 1938, in uno scambio epistolare con l’amico giornalista Wilhelm Stapel sui recenti episodi di violenza, si disse “entusiasticamente” favorevole a costringere gli ebrei all’emigrazione con ogni brutalità necessaria allo scopo.

Il silenzio delle chiese

Il silenzio cattolico
Anche nelle regioni totalmente cattoliche della Germania meridionale e occidentale gli episodi di violenza ebbero luogo senza ostacoli, sotto gli occhi di tutti. Né da papa Pio XII, a Roma, né dai vescovi cattolici tedeschi giunse alcuna dichiarazione pubblica in merito ai pogrom. Il silenzio ufficiale delle istituzioni fu anche in questo caso la reazione predominante. Quello che mancò ai cattolici, tuttavia, fu il consenso esplicito e in parte pubblico presente invece negli ambienti protestanti. Nella Chiesa cattolica non c’era alcun movimento ecclesiale di massa paragonabile ai Deutsche Christen. Il clero cattolico mantenne le distanze dal partito di Hitler (l’affiliazione dei sacerdoti cattolici al partito NSDAP fu inferiore all’1%), mentre tra i pastori evangelici – con notevoli differenze tra le varie Chiese regionali – la percentuale di adesione all’NSDAP si aggirò tra il 15 e il 20%. Nel novembre del 1938, attenendosi all’indicazione papale del silenzio ecclesiastico, anche i cattolici assunsero tuttavia un atteggiamento distaccato. Persone coraggiose, come il rettore della cattedrale cattolica di Berlino Bernhard Lichtenberg, il quale protestò pubblicamente contro il nazismo per i provvedimenti persecutori presi contro gli ebrei, costituirono un’eccezione. (da Zeitzeichen; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Da: voceevangelica.ch

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