
Un tempo anche io mi facevo chiamare “Pastore Marcello”, o addirittura “Apostolo Marcello”. Sì, lo confesso. Pensavo che mettere un titolo davanti al mio nome fosse un modo per “onorare il ministero” e “dare gloria a Dio”. In realtà stavo solo cercando di validarmi davanti agli uomini, perché non avevo ancora capito chi ero davanti a Dio.
Poi lo Spirito ha parlato. Non con una voce dolce in un culto di fuoco, ma nel silenzio che brucia l’orgoglio e sgonfia l’ego. E mi ha mostrato Gesù. Non il Gesù dei manifesti con la cravatta e il microfono dorato, ma il Figlio di Dio con un asciugamano in vita, che lava i piedi a uomini che nemmeno capivano chi avevano davanti.
Gesù non aveva bisogno di titoli. Non ha mai detto: “Io, Apostolo Gesù”, “Io, Pastore Gesù”, “Io, Dottor Gesù”. Eppure era tutto questo e di più. Lui non rivendicava un’identità ministeriale: Lui incarnava il cuore del Padre.
E Paolo? Guarda la sua traiettoria. Non quella che impressiona i seguaci, ma quella che inchioda l’anima:
1. Anno 55-57 d.C. – “Io, Paolo, chiamato ad essere apostolo” (Romani 1:1; 1 Corinzi 1:1)
Qui Paolo afferma la sua chiamata, ma non come vanto: è una responsabilità, non una bandiera.
2. Anno 55-57 d.C. – “Io sono il minore degli apostoli” (1 Corinzi 15:9)
Nello stesso periodo in cui scrive della sua chiamata, si definisce anche il più piccolo tra gli apostoli. Già qui c’è una tensione tra il dono ricevuto e la consapevolezza di non meritarlo.
3. Anno 60-62 d.C. – “Io sono il minimo di tutti i santi” (Efesini 3:8)
Con il tempo, la luce della grazia scava più a fondo. Non si sente solo inferiore agli apostoli, ma a tutti i credenti.
4. Anno 63-64 d.C. – “Io sono il primo dei peccatori” (1 Timoteo 1:15)
Alla fine della corsa, dopo chiese fondate, miracoli, persecuzioni e rivelazioni, Paolo non rivendica un titolo: si mette in fondo alla fila. Non perché si è abbassato, ma perché è salito.
Più maturava, meno si metteva al centro. Non stava scendendo, stava ascendendo nella consapevolezza della grazia.
Il vero ministero non è una piattaforma per esibire titoli, è una vita da donare. E se per sembrare grandi davanti agli uomini dobbiamo gonfiare il nostro nome, allora abbiamo già perso la sostanza di Cristo.
Forse dovremmo preoccuparci meno di come ci presentiamo su Facebook, e molto di più di come ci presentiamo davanti a Dio. Lui non si lascia impressionare da “Apostolo X” o “Profeta Y”. Ma si compiace in chi ha un cuore contrito, umile, e saldo nella grazia.
— Marcello Donadio
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