Temi come diritti umani, le migrazioni, l’ambiente, la parità di genere e i diritti delle minoranze cambieranno radicalmente dopo questo voto nel discorso pubblico. In America e nel mondo.

Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. «Dobbiamo superare le divisioni» è stata una delle prime frasi pronunciate dopo i complimenti a Hillary Clinton per la sfida in campagna elettorale. Resta difficile in questo momento immaginare di superare le divisioni e i muri, che Trump stesso ha promesso di costruire, sia fisici che culturali. Mentre tutto il mondo commenta i risultati delle elezioni, torniamo a ragionare sul voto dei protestanti che, con le dovute distinzioni, è stato attirato più volte dai discorsi e dai ragionamenti del candidato repubblicano. Secondo i risultati, la Bible Belt, l’area culturale del sud est degli Stati Uniti in cui vive una grande percentuale di persone cristiane protestanti, per lo più evangeliche, ha appoggiato completamente Donald Trump.

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La ripartizione del voto in una rialaborazione del New York Times

Continuiamo il discorso iniziato prima del voto (dove abbiamo commentato anche il sondaggio di inizio annodel Pew Research Center) guardando ai risultati insieme a Paolo Naso, docente di Scienza Politica e coordinatore del Master in Religioni e mediazione culturale all’Università la Sapienza di Roma.

In attesa di dati più precisi, possiamo già interpretare come si sono espressi gli evangelici statunitensi?

«Credo ci sia stata una polarizzazione estrema e radicale come in campagna elettorale. La radicalizzazione tra il nucleo delle chiese storiche, penso alla chiesa presbiteriana – alla quale per altro Trump dice di appartenere ma non vi sono documenti in evidenza di questo – ad alcuni battisti, calvinisti, episcopaliani, luterani che massicciamente hanno continuato ad avere un’opinione a favore del partito democratico e di Hilary Clinton, e dall’altra parte il contesto delle chiese evangelical (la parte carismatica, pentecostale, i newborn, o le chiese libere) che invece sotto il richiamo dei valori religiosi dell’America hanno concesso la fiducia a Trump nonostante fosse una delle persone dal punto di vista biografico meno compatibili con questa sensibilità».

Una polarizzazione che riguarda solo il voto?

«Un voto polarizzato che dimostra come la maggioranza del protestantesimo americano in questa fase si orienti più verso un vettore evangelicale-carismatico-libero e tendenzialmente conservatore anche da un punto di vista teologico. Dall’altra parte il nucleo storico delle chiese mainstream che tengono fede a una tradizione diversa, che si è ben espressa nella presidenza Obama, credente impegnato che viene proprio da questo mondo».

La dimensione religiosa di Trump si è espressa soprattutto con tematiche legate alla paura, con l’opposizione di una cultura rispetto ad un’altra. Impressiona in ogni caso notare come la Bible Belt sia stata interamente a favore del candidato repubblicano.

«Questo non era scontato. La personalità e la biografia di Trump sono difficilmente compatibili con un messaggio di rigore evangelico e cristiano. È chiaro che lui si ispiri a valori conservatori (famiglia tradizionale, no alle famiglie gay, no all’aborto e cose di questo genere), opinioni che stanno molto a cuore alla destra religiosa, evangelical carismatica e pentecostale, anche se il suo stile di vita sembra incompatibile con questo. Quando questa incompatibilità venne fuori in campagna elettorale ci fu una doppia capovolta dei vertici della destra religiosa: dissero che in fondo anche Abramo aveva più mogli o che il Re Davide non era un esempio di specchiata lealtà nei confronti delle donne e così via. Hanno rappresentato Trump come un peccatore ma all’altezza dei grandi patriarchi biblici. Sembrava una tesi improbabile e ridicola, ma evidentemente questo tipo di ragionamenti ha fatto breccia e ha portato a risultati rilevanti».

Si è parlato delle differenze nel voto tra campagne e città, con grandi polarizzazioni. La lettura superficiale che verrebbe da fare è “popolo colto che vota per i democratici contro popolo ignorante che vota per i repubblicani”. È troppo semplice ridurre tutto a questo dualismo?

«Forse no. L’America è stata investita da una crisi pesante dalla quale è parzialmente uscita, pensiamo al salvataggio dell’industria automobilistica che si deve soltanto ad Obama. Quel sogno americano che negli anni ’70, ’80 e ’90 rendeva possibile l’accumulo di fortune enormi da parte di alcuni settori del ceto medio: fortune improvvise che non sono più possibili. Improvvisamente il ceto medio in crescita che sembrava raggiungere risultati economici unici ed eccezionali si è trovato in una situazione di crisi. Di chi è la colpa? Di chi sta al potere, è stato il ragionamento, in questo caso dei democratici: l’alternanza può portare l’America a essere nuovamente grande, come diceva il motto di Trump. Questa illusione, il sogno venduto in base al principio di votare qualcosa di differente, ha incoraggiato l’atteggiamento di chi si pone l’obiettivo di un cambiamento, qualsiasi esso sia. Parliamo di persone che non riescono ad articolare un’analisi più sofisticata: se i mercati sono crollati non è colpa di Obama ma di un’economia mondiale che è cambiata in questi anni, di nuove consapevolezze, come quella ambientale: in un discorso semplificato invece la responsabilità è completamente di chi siede a Washington. In questo schema la contrapposizione tra persone colte che riescono a capire la complessità e persone che tendono a semplificare, mi pare che funzioni».

Alcuni sostengono che Clinton per il Mediterraneo abbia già fatto danni, dunque che Trump sia il male minore. Cosa dobbiamo aspettare per questa area?

«Personalmente non credo potesse andare peggio. Non perché credo accadrà chissà quale rivoluzione, il sistema americano ha una sua solidità, quindi “il sole domani sorgerà di nuovo” come ha detto Barack Obama. Non temo una svolta politica in senso guerrafondaio o internazionale, però cambia il discorso pubblico mondiale su temi decisivi. Temi come diritti umani, le migrazioni, l’ambiente la parità di genere, i diritti delle minoranze nel discorso pubblico in America e nel mondo cambieranno radicalmente dopo questo voto. Da questo punto di vista siamo di fronte a una svolta, la peggiore dal mio punto di vista».

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Exit poll del voto evangelico secondo la Cnn, rielaborata dal Washington Post

Immagine: via istockphoto.com

di Matteo De Fazio | Riforma.it

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