Immigrazione fuori controllo, si deve ripensare Shengen

img-_innerArtFb-_calais2Mentre (non si capisce perché) sembra fare notizia solo il caso del valico italo-francese di Ventimiglia/Mentone, dove migranti irregolari diretti verso il Nord Europa cercano di passare in Francia. Respinti, si accampano qua e là, la stessa scena si ripete sia altrove in Italia, innanzitutto al valico del Brennero e nelle stazioni di Bolzano e di Trento, ma non solo.

Nei giorni scorsi i migranti irregolari accampati nei pressi del porto di Calais hanno colto uno sciopero del personale dei traghetti francesi, che fanno la spola attraverso la Manica, come una buona occasione per tentare di passare in Inghilterra. Al momento dell’imbarco degli autotreni, confuso e meno controllato a causa dell’assenza degli scioperanti, centinaia di loro hanno cercato di salire sulle navi sfidando la polizia intervenuta per fermarli e respingerli. Ormai scene del genere sono di ordinaria amministrazione sia alle frontiere esterne dell’Unione, sia in punti chiave delle frontiere interne. Del caso di Calais il primo ministro britannico David Cameron ha parlato ieri alla Camera dei Comuni dicendo che Londra è pronta a cooperare con le autorità francesi anche inviando sul posto sue forze di polizia. Ha poi aggiunto che il suo governo si attende di ricevere una “migliore documentazione sui migranti che giungono in Europa attraverso il Mediterraneo”, e che infine intende “lavorare con i partner europei per risolvere il problema alla fonte facendo venir meno l’idea che chi giunge in Europa sui barconi abbia perciò stesso il diritto di trovare in Europa definitiva accoglienza”.

Tutto quanto sta accadendo sul fronte dei flussi migratori irregolari diretti verso l’Unione Europea è segnato da un catastrofico divario tra le caratteristiche del fenomeno da un lato e dall’altro la capacità dei governi di comprenderlo e di affrontarlo. Nel suo discorso Cameron ha il merito di averne toccato due punti-chiave, anche se ahimè in modo assai generico. Quando nel 1985 il trattato di Shengen venne firmato nella piccola località del Lussemburgo da cui prende il suo nome, le migrazioni irregolari di massa dall’emisfero Sud verso l’attuale Unione Europea non soltanto non erano ancora iniziate, ma nemmeno si potevano prevedere. Non sorprende dunque che oggi sia inadeguato; sorprende piuttosto che tale adeguamento non sia mai avvenuto. Da allora ad oggi ci si è limitati a ricollocare Shengen nel corpus dei trattati istitutivi dell’Ue e a fargli dei ritocchi secondari. E’ ovvio che un sistema pensato quando i migranti irregolari dall’emisfero Sud erano alcune centinaia all’anno non funzioni più adesso che sono divenuti decine di migliaia.

In quanto principale Paese della frontiera esterna dell’Unione verso sud e sudest, l’Italia avrebbe dovuto tempestivamente sollevare il problema e invece non l’ha fatto. Come già più volte abbiamo scritto, la soluzione reale del problema consiste nel tagliare la catena delle migrazioni irregolari là dove inizia. Nella misura però in cui non si riesce ancora a farlo diventa necessario un sistema di verifica, di selezione, ed eventualmente di rimpatrio dei migranti non accolti, che sia in grado di gestire afflussi di migliaia di persone. E’ un sistema che non si improvvisa e che richiede molto lavoro, molta capacità non solo umana ma anche tecnica, molte strutture, molti addetti e molti soldi. Insieme agli altri Paesi della frontiera sud  e sudest dell’Unione avremmo dovuto porre già da anni la questione in sede europea chiedendo tra l’altro adeguato finanziamento per un impegno che l’Italia e altri cinque-sei Paesi membri devono assumersi anche per conto di tutto il resto dell’Unione. Invece si è scelta la via della furbizia di corto respiro: ospitiamo i migranti nei centri di accoglienza, li identifichiamo molto alla buona e poi gli facciamo capire che se vogliono squagliarsela non si rincorrerà nessuno. Fino a quando la massima parte di loro era costituita da persone con parenti che li stavano attendendo nel Nord Europa il sistema ha funzionato. Adesso invece funziona sempre meno e i risultati sono quelli che si vedono. Oggi Cameron, tanto per dirne uno, ha un bel dire che si attende una “migliore documentazione” sui migranti irregolari che raggiungono il territorio dell’Unione attraverso il Mediterraneo. Il nostro governo e gli altri governi interessati dovrebbero avere il coraggio di rispondere che al momento è impossibile; e nello stesso tempo da un lato impegnarsi ad attrezzarsi adeguatamente ma dall’altro chiedere perciò a Bruxelles tutto il finanziamento necessario.

A monte di tutto questo occorre però una mobilitazione internazionale per risolvere il problema davvero “alla fonte”. Per tagliare in più punti la catena criminale del traffico di migranti irregolari sin dai suoi primi anelli, e nel medesimo tempo per creare un’alternativa a queste immigrazioni di disperati. Una tale alternativa non può che avere due aspetti: da un lato l’apertura di canali di migrazione legale caratterizzati da processi di selezione sul posto degli aspiranti all’esodo dai Paesi di nascita; e dall’altro e soprattutto programmi di pacifico sviluppo dei Paesi d’origine degli attuali migranti tali da ridurne l’esodo al minimo. Non è facile, ma fermare altrimenti l’afflusso in massa di questi disperati è ancora più difficile.

di Robi Ronza

da: Lanuovabq.it/

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