In collegamento costante con “la rete” (Giovanni 15:1-8)

Vivere senza elettricità? La società moderna ha un suo molto serio “tallone d’Achille”: tutto dipende dall’energia elettrica e sempre di più dai sistemi informatici. Senza elettricità e senza sistemi informatici, però, tutto si bloccherebbe e noi torneremmo indietro di secoli. Trasporti, comunicazioni, banche, ospedali, apparati statali, praticamente l’intera economia: pensate a tutto ciò che funziona con l’elettricità e la rete. Tutto bloccato e irreparabilmente. Per realizzare questo obiettivo e disabilitare così un’intera nazione nemica facendola piombare nel caos, è stata sviluppata la bomba elettromagnetica. E’ un’arma che utilizza un intenso campo elettromagnetico per creare un breve impulso di energia che influisce sui circuiti elettronici senza danneggiare gli esseri umani o gli edifici. A livelli bassi, l’impulso disabiliterebbe temporaneamente i sistemi elettronici; i livelli di fascia media corromperebbe i dati del computer. Livelli molto alti distruggerebbero completamente i circuiti elettronici, disabilitando così qualsiasi tipo di macchina che utilizzi l’elettricità, inclusi computer, radio e sistemi di accensione nei veicoli. Sebbene non sia direttamente letale, una bomba elettronica devasterebbe qualsiasi bersaglio che faccia affidamento sull’elettricità: una categoria che comprende qualsiasi potenziale obiettivo militare e anche la maggior parte delle aree civili del mondo. Ho visto recentemente un film drammatico che descrive una situazione del genere. Non è fantascienza: sarebbe possibile oggi stesso. Non si ucciderebbe direttamente nessuno e non si distruggerebbe nulla:, colpita da quell’esplosione nell’atmosfera, un’intera nazione non potrebbe che sventolare “bandiera bianca” e dichiarare la completa disfatta. Quanto è saggio far dipendere tutto dall’elettricità?

Questa potrebbe essere un’illustrazione moderna per descrivere una realtà spirituale di primaria importanza che il mondo, cieco ed illuso, vorrebbe negare: checché ne dicano gli atei, l’essere umano e l’intera società non potrebbe vivere senza Dio. Colui che molti si ostinano a negare ed a pensare di poterne fare a meno, è lo stesso da cui dipende attimo per attimo l’intera nostra esistenza. Iddio è Colui che sostiene anche chi Lo disprezza e Lo nega, ma quanto più ricca, buona, giusta, feconda, realizzata, sensata e dalle prospettive eterne sarebbe una vita vissuta in consapevole comunione con Lui! Perché questa “disconnessione dalla rete” del Creatore? L’Evangelo direbbe: “Un nemico ha fatto questo” (Matteo 13:28). Gesù è venuto proprio per “ristabilire la corrente” fra l’essere umano e Dio e permettere così che la Sua “energia” passi al pieno delle sue capacità in noi, “apparecchi” davvero inutili e ben al di sotto delle loro possibilità, senza di Lui.

Il tralcio e la vite

Per comunicare un concetto simile a questo, un giorno Gesù fa un paragone fra Lui e una vite, fra i Suoi discepoli e i tralci che, da questa vite, traggono tutta la loro vita e produttività. Leggiamolo nel vangelo secondo Giovanni, al capitolo 15.

«Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via; ma ogni tralcio che porta frutto, lo pota affinché ne porti ancora di più. Voi siete già mondi a motivo della parola che vi ho annunziata. Dimorate in me e io dimorerò in voi; come il tralcio non può da sé portare frutto se non dimora nella vite, così neanche voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio e si secca; poi questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e sono bruciati. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli” (Giovanni 15:1-8).

Per ben sette volte nel vangelo secondo Giovanni, Gesù presenta se stesso attraverso immagini che efficacemente descrivono la Sua identità e funzione: su di esse dobbiamo attentamente riflettere. Nell’ultimo dei sette grandi “Io sono”, al cap. 15, Gesù dice: “Io sono la vera vite” (15:1).

Gesù fa qui uso del paragone con la coltivazione della vite. L’uva è indubbiamente un ottimo frutto e quando da esso si ricava il vino, si tratta di un eccellente prodotto. Del vino la stessa Bibbia dice che “rallegra il cuoredell’uomo” (Salmo 104:15), e persino che “rallegra Dio” (Giudici 9:13). Usato con moderazione, può diventare persino una medicina. (Crf. 1 Timoteo 5:23).

Vigna, vite, tralci, uva, vino, la sua coltivazione e lavorazione, diventano spesso, nelle Sacre Scritture, illustrazione di realtà spirituali. Esaminiamo bene che cosa Iddio vuole comunicarci attraverso questo testo biblico.

1. La vera vite

Gesù dice: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (1). Che cosa intende dire? Israele, come popolo eletto di Dio, era stato descritto nell’Antico Testamento come la vigna scelta di Dio, sulla quale, come un diligente vignaiolo, aveva profuso cure ed attenzioni, e da cui, giustamente, si attendeva del frutto. In gran parte Israele aveva disatteso a queste aspettative. Il suo fallimento e la sua infedeltà, però, non frustrano le promesse di Dio. A suo tempo Iddio manda Gesù, il Suo unico Figlio, “la vera vite”. Fedelmente Gesù adempie i propositi di salvezza di Dio. Chiunque riconosce e confessa il suo peccato ed il suo bisogno, affidandosi completamente al Signore e Salvatore Gesù Cristo, vede ristabilita per sé la comunione con Dio che sola può dare alla sua esistenza significato ultimo. Chi fa questo scopre come la sua vita diventi sana, producente e fruttuosa. Perché? Proprio perché è stata “ricollegata” alla fonte stessa della vita, da cui sola può scorrere “linfa vitale”.

2. Il frutto che da essa si attende

A che serve una vigna, se non a produrre frutto, ad essergli utile secondo i fini per i quali era stata piantata e curata? Da coloro che Egli sceglie (il Suo popolo, la Sua Chiesa), Egli desidera il frutto, di cui parla per ben otto volte in questo capitolo. Si può notare, addirittura qui, una progressione: frutto (2), più frutto (2), molto frutto (5, 8), ed essa è in grado di produrlo se ben collegata alla vite.

Il frutto che Dio desiderava dal Suo popolo era ubbidienza amorevole, dirittura e giustizia (Isaia 5:1-7). Questo stesso frutto Egli si aspetta da coloro che appartengono al Suo popolo: una fiduciosa ubbidienza alla Sua volontà rivelata che sgorga dall’amore, una vita giusta e buona conforme ad essa, la giustizia e la pace, che s’irradia tutt’attorno a coloro che a Dio fedelmente ubbidiscono.

Come un valente vignaiolo, Iddio opera sulla Sua vigna affinché produca frutto, e lo fa in due modi: “Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più” (2). Ogni anno i coltivatori potano le loro vigne, tagliando i rami morti e curando quelli vivi, affinché si sviluppino e crescano. Il tralcio che non porta frutto è chiaramente morto, e perciò è tagliato via. Allo stesso modo, nell’ambito del popolo di Dio, non necessariamente tutti quelli che si dichiarano discepoli di Cristo, Lo seguono veramente. Vi sono, così, coloro che sono secchi, aridi, morti, improduttivi. Alcuni “cadono da soli” e si distaccano dalla “vite”, altri continuano a rimanerne attaccati, ma non n’assorbono la linfa, e, come tralci disutili, a suo tempo saranno recisi. Infatti, a che servono? Siamo in questa situazione?

A differenza, però, dei tralci inconsapevoli della vite, noi stessi potremmo renderci conto di essere aridi e improduttivi. Possiamo confessare a Dio questa nostra situazione. Possiamo chiedergli di ristabilirci, ed Egli lo farà.

Diventeremo così simili a quei tralci “fedeli” che Iddio giudica promettenti e che per questo sono da Lui curati affinché producano più frutto. E’ davvero meraviglioso vedere come Dio si prenda cura dei Suoi e come essi “producano” alla Sua gloria. Possiamo far parte di loro.

3. Una parola che purifica

Ai Suoi discepoli, Gesù dice: “Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunziata” (3). L’insegnamento di Cristo, la Sua Parola, è davvero un “agente purificatore” per i Suoi discepoli. Confrontandosi quotidianamente con la Parola di Dio, il cristiano sottopone ogni aspetto della sua vita ad un’attenta analisi (un costante “esame di coscienza”) eliminando gradualmente da essa e correggendo ciò che non è conforme alla volontà rivelata di Dio. Gesù giudica i discepoli ai quali si rivolge, “molto avanti” nel loro processo di purificazione dal peccato, eccetto uno, Giuda, del quale, più tardi, dirà: “‘Chi è lavato tutto, non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è purificato tutto quanto; e voi siete purificati, ma non tutti’. Perché sapeva chi era colui che lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete netti»” (Gv. 26:10,11). Nessuno che faccia parte del popolo di Dio, infatti, può pensare di passare inosservato, evitando di sottoporsi al processo di purificazione che Gesù intende operare nei suoi.

Come avviene in pratica questo processo di purificazione in un credente o nella comunità dei credenti? Ponendosi in fiducioso e diligente ascolto della Parola del Signore che la Bibbia ci comunica, approfondendola e riflettendo.

4. Il segreto della produttività

Nelle fabbriche e negli uffici, ciò che conta per il successo economico dell’azienda è la produttività. Esistono degli esperti che studiano il modo in cui aumentare la produttività. A livello, però, del singolo cristiano e della sua comunità, come discepoli di Gesù, come si può essere produttivi? Lo dice il versetto seguente: “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me” (4).

Una vita che voglia essere davvero realizzata e produttiva può solo essere ottenuta in stretta comunione con il Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Questa comunione fra i credenti e Cristo è rappresentata dal battesimo e dalla Cena del Signore. Gesù ha in se la stessa vita che la vite ha per i tralci. Egli disse: “…come il Padre ha vita in sé stesso, così ha dato anche al Figlio di avere vita in sé stesso” (Gv. 5:26). Ecco perché noi dobbiamo aver cura di “dimorare” in Gesù: un concetto-chiave. Che cosa significa “dimorare in Cristo”?

In primo luogo accettare veramente con fiducia Gesù come proprio Salvatore, Signore, Guida, Maestro, non a parole, ma nei fatti! Poi significa perseverare nella fede, essere costanti., coerenti in questa professione di fede. Per questo Gesù dice: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli” (8:31). In terzo luogo, “dimorare in Cristo” significa vivere nell’ubbidienza. Infatti, come Gesù dice più avanti nel capitolo: “Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore” (Giovanni 15:9,10).

Non è possibile vivere in modo autentico, pieno e fecondo, lontano da Dio. In Gesù e con Gesù possiamo avere quella comunione con Dio che ci permetterà di “dar frutto”.

5. Nessuna reale produttività senza Gesù!

Lo stesso concetto è ribadito nel versetto cinque: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla” (5). L’espressione che Gesù qui usa è molto radicale, ma solo Lui può permettersi di farlo, Egli è il “legittimo proprietario” della “azienda” e sa ciò che sta dicendo!

Si “produce” se si sta in stretto e costante contatto con Cristo, ma va da sé che è pure vero il contrario: “Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano” (6). Che cosa intendeva dire Gesù con queste parole simboliche sulla vite e sui tralci bruciati? I tralci “bruciati” possono essere quei cristiani di nome soltanto che, come Giuda, non sono veramente “a posto”, in condizione di salvezza, e perciò saranno severamente giudicati dalle evidenze stesse della loro vita. Non possono sfuggire da questa “logica”.

Come un ramo morto, chi è senza Cristo, quand’anche facesse professione  posteriore di fede, è destinato a ciò che la Bibbia chiama “fuoco eterno” (Matteo 25:46). Giuda stava con Gesù, sembrava essere “un tralcio” come gli altri, ma “i fatti” contavano. Egli non aveva veramente vi se la vita di Dio e per questo motivo se n’era andato: il suo destino era stato quello d’un ramo morto!

6. Preghiere esaudite!

Diversamente dal versetto 6 l’accento posto su questi versetti per noi oggi conclusivi è positivo: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto” (7). Una preghiera efficace si basa sulla fede in Cristo e sulle Sue Parole, parole che i credenti conservano fiduciosamente nel cuore, ubbidendo ad esse e portando così frutto. L’ubbidienza è qui un concetto centrale. Tanti oggi si dicono cristiani, ma… Da che cosa si distingue il vero cristiano? Dalla sua ubbidienza alla .Parola di Dio, e da null’altro. Il concetto di “cristiani disubbidienti” è una tragica realtà, contro la quale la Bibbia stessa ci ammonisce.

L’ubbidienza è uno dei concetti centrali nella professione della fede cristiana. L’apostolo scrive: “Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” (1 Giovanni 5:3-4). I comandamenti di Dio non sono gravosi, ma devono essere ubbiditi.

Ecco così come la parola di Cristo condizioni e controlli la mente a tal punto che anche le loro preghiere diventano conformi alla volontà del Padre. Infatti, se le sue preghiere sono in accordo con la volontà del Padre, il loro esaudimento è sicuro! Le preghiere esaudite portano gloria al Padre poiché, come Gesù, i Suoi discepoli fanno la volontà del Padre.

Conclusione

Ecco dunque l’affermazione finale, riassuntiva, che il Signore Iddio ci vuole comunicare attraverso il testo biblico di oggi: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli” (8). Potrebbe esserci un modo più chiaro di questo per esprimere il concetto fin qui esposto?

La nostra vita conseguirà il suo senso ultimo quando sarà effettivamente “produttiva” per Dio, alla cui gloria e servizio eravamo stati creati. Qual è il segreto di questa produttività? Essere costantemente connessi alla “fonte di energia” che non verrà mai meno. Il nostro legame con Cristo deve essere autentico, reale, costante. E’ un legame fatto di conoscenza, fiducia ed ubbidienza. Solo così, a livello singolo e comunitario “porteremo frutto”. In questo legame o comunione Gesù raccoglie i Suoi e celebra, rafforza, valorizza questo rapporto. Che possa così essere per ciascuno di noi: “funzioneremo” veramente solo quando la nostra “spina” sarà bene inserita nella “presa elettrica”. Vale …per un qualsiasi apparecchio. Dovrebbe non valere per noi?

Paolo Castellina

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