Intellettuali laici disorientati di fronte all’islam

img-_innerArtFb-_taliban-pakistanGiorni fa, mentre si diffondeva nel mondo la notizia del nuovo massacro di innocenti a Lahore, la  Bbc, uno delle tre-quattro più influenti fonti di informazione del mondo (e ovviamente una delle meglio informate sui Paesi che già furono parte dell’Impero britannico), insisteva a parlarne evitando di dire quanto appariva evidente, ossia che la comunità cristiana della grande città pakistana era stata l’obiettivo dell’attentato.

Il titolo era generico e tale eventualità veniva indicata nelle ultime righe del testo solo come un’opinione. Occorreva leggere tutto fino all’ultima parola per scoprire che l’opinione citata era quella del capo della polizia di Lahore, dunque non proprio il più sprovveduto e disinformato dei passanti. Soltanto ieri il colosso inglese dell’informazione si è arrischiato a scrivere non nel titolo, ma almeno nelle prime parole del testo, che “Jamaat-ul-Ahar ha detto di aver preso di mira dei cristiani che celebravano la Pasqua” ma solo per aggiungere immediatamente che “la polizia sta indagando su tale rivendicazione”. Se non fosse per la tragicità dell’episodio (mentre scriviamo i morti, per lo più donne e bambini, sono già 72 e molti degli almeno 300 feriti sono in fin di vita) ci sarebbe da ridere. La totale mancanza di senso del ridicolo, testimoniata in questo caso da un’istituzione-simbolo della patria dello “humour”, induce paradossalmente ad alcune salutari riflessioni sull’inadeguatezza della modernità occidentale a rispondere alla sfida che viene dalle nuove generazioni musulmane, se non dalle nuove generazioni in genere.

Nella misura in cui il laicismo diviene la… religione di Stato del mondo in cui viviamo, e nel vuoto che ne deriva resta spazio soltanto per il nichilismo nelle sue varie versioni, l’Occidente finisce per essere una realtà tanto irritante quanto incomprensibile. Agli occhi di chi lo guarda senza più conoscerne la tradizione, e quindi senza comprendere quali siano le basi autentiche del suo progresso e insieme della sua capacità di essere sia più forte che più solidale di qualsiasi altra cultura, l’Occidente è un’irritante sfinge: un mondo all’apparenza dedito soltanto all’inseguimento ad ogni costo e senza fatica di ogni piacere immediato, eppure nel medesimo tempo il cuore di ogni progresso sia tecnico che civile dell’umanità. Quando ad esempio si torna in Europa da un viaggio prolungato nei Paesi arabi, percorrendo l’aerostazione, tanto più di un aeroporto italiano, questo contrasto è patente. Da un lato si rientra in contatto con una realtà dove ogni cosa è migliore, ma dall’altro ci si ritrova di nuovo di fronte a immagini ammiccanti per lo più  gigantesche che abbinano l’erotismo e l’edonismo a qualunque cosa. E la lezione continua poi interminabile alla Tv, al cinema, sui giornali, nei supermercati, nelle librerie salvo brevi sprazzi di immagini di papa Francesco e di qualche altra grande figura cristiana citata però al di fuori di qualsiasi contesto chiarificatore.

Ciò che vale per il visitatore vale analogamente per il figlio dell’immigrato musulmano, per definizione tagliato fuori da quel che resta dentro le famiglie autoctone dell’eredità cristiana sia diretta e sia anche indiretta e inconsapevole. Anche per il figlio dell’immigrato infatti l’Occidente è spesso soltanto quello che vede nell’immediato e quello che si sente o non si sente dire a scuola. Se tutto questo in Italia non ha dato fino ad oggi tutti i frutti avvelenati di cui già si sono fatte le spese altrove, ciò si deve in primo luogo al fatto che, nonostante tutto, nel nostro Paese la vita quotidiana resta ancora evidentemente ancorata a valori fondanti di matrice cristiana, che gli immigrati musulmani possono percepire come tali. Inoltre la stessa immigrazione straniera, che comunque in Italia è più integrata di quanto sia in Francia e nel Nord Europa, proviene in larga maggioranza nel suo complesso da Paesi di tradizione cristiana; quindi nell’insieme il suo ambiente non è per lo più musulmano.

Beninteso, tale stato di cose è di sollievo nel breve periodo, ma non va affatto visto come una soluzione definitiva del problema. Alla radice della questione c’è il rischio crescente del venir meno diffuso del passaggio da una generazione all’altra del sapere in quanto non solo formazione, ma anche e in primo luogo in quanto sapienza. Un intellettuale “laico” ma tuttavia non rinchiuso in se stesso, Olivier Roy, sostiene che siamo di fronte non a una radicalizzazione dell’islam bensì all’islamizzazione del radicalismo (si vedano ad esempio alcune pagine del suo opuscolo La paura dell’islam, distribuito in Francia da Le Monde e in Italia dal Corriere della Sera) . E’ un’ipotesi interessante anche se non sufficiente. Non basta infatti a spiegare come mai ciò che egli chiama radicalismo trovi spazio solo in ambiente islamico. E’ pur vero tuttavia che ciò che accomuna i terroristi, siano essi di tradizione musulmana o europei autoctoni convertiti, è il desiderio – purtroppo gravemente distorto – di valori forti e certi nei quali identificarsi.

Si può allora capire il disorientamento dell’intellighenzjia “laica” europea del nostro tempo, la quale non è in grado di dare a tale desiderio la minima risposta di qualche interesse. Questa intellighenzjia, di cui peraltro lo stesso Roy costituisce un esempio, è l’ultimo esito possibile dell’eredità dell’Illuminismo con la sua pretesa di fondarsi su valori di matrice cristiana sganciati dal cristianesimo. In un ambiente caratterizzato dall’ateismo pratico di massa, l’unico esito possibile di tale lezione è il libertinaggio a breve termine e il nichilismo a lungo termine. Nella misura in cui le nuove generazioni si trovano immerse senza alternativa in un ambiente del genere, non per tutti ma comunque in ogni caso per troppi, la follia del “radicalismo”, fino all’estremo del terrorismo sanguinario, può diventare un orizzonte possibile. E d’altra parte per tutti gli altri si trasforma in un’incapacità di mobilitarsi a promozione, a tutela e se necessario a difesa con sacrificio personale di una cultura nella quale si vive senza comprenderne né le basi, né le radici. Di qui il compito cruciale che incombe su tutti coloro che in Occidente, ma anche altrove, sanno che ci sono più stelle che nella loro filosofia: quello di saper essere catalizzatori di una ripresa e di una mobilitazione che è comunque fuori della portata dei “laici”, per bene intenzionati che siano.

di Robi Ronza | Lanuovabq.it

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