Israele: Quella formula per la pace che pare così ovvia (ma non funziona)

Di Giora Eiland
L’impressione è che gli americani ragionino nel modo seguente: c’è un problema (il conflitto) e quindi deve esserci una soluzione. Qual è la soluzione? Quella a due stati. Perché finora questa soluzione non è stata raggiunta? A quanto pare, perché non è stato fatto uno sforzo sufficiente. Qual è la conclusione? Facciamo un altro sforzo più grande. Naturalmente la conclusione degli americani è sbagliata. Finora la soluzione non è stata realizzata perché nessuna delle due parti la vuole veramente. Per entrambe, adottare quella soluzione comporta un costo assai maggiore dei vantaggi. Per lo stato di Israele vi sono due costi insostenibili, o comunque troppo alti. Uno è legato agli enormi rischi per la propria sicurezza e/o sopravvivenza, che sono insiti in un ritiro sulle linee del 1967, uniti alla mancanza di fiducia nel fatto che la controparte onori i suoi impegni. Il problema non sono tanto le “dolorose concessioni” quanto la preoccupazione che, fatte le concessioni, vada al potere un regime tipo Hamas, o peggio, che semplicemente non manterrà nessuno degli impegni presi con la firma dell’accordo. Il secondo ostacolo è la necessità di sgomberare almeno 120mila israeliani. Il prezzo politico, sociale ed economico sarebbe immenso. Soltanto gli indennizzi diretti agli abitanti sgomberati ammonterebbe a circa 120 miliardi di shekel. Da dove dovrebbero arrivare tutti questi soldi? Per quanto riguarda i palestinesi, il loro ethos nazionale non è mai stato quello di istituire un loro piccolo stato, e non lo è nemmeno oggi. I palestinesi vogliono “giustizia”, cioè la rivalsa (riavvolgere il film della storia cancellando “tutto ciò che è avvenuto dal ’48 in poi”), vogliono il riconoscimento del loro status di vittime e, soprattutto, il “diritto al ritorno”. Non vi è alcun reale desiderio palestinese di istituire uno stato piccolo e “mutilato” (avrebbero già potuto farlo più volte): dunque, non sono disposti a pagare un prezzo per questo scopo. Il prezzo da pagare sarebbe l’impegno a proclamare la fine del conflitto, di ogni futura ulteriore rivendicazione, e il riconoscimento di Israele come stato nazionale degli ebrei. E se il desiderio non è autentico, non vi è nessuna volontà da parte palestinese di accettare il “doloroso compromesso” che è decisivo se si vuole arrivare alla pace. Gli americani dovrebbero operare un sostanziale riesame dell’intero processo di pace e vedere se non vi siano strade alternative che possano rispondere agli interessi delle varie parti in causa (che, per inciso, non sono solo israeliani e palestinesi). Dal punto di vista di Israele è chiaro che, se gli Stati Uniti continuano a insistere col vecchio paradigma, tutto ciò che resta da fare è stare al gioco: approvare un ritorno al tavolo negoziale senza precondizioni nella consapevolezza che l’esistenza del processo di pace è in sé cosa auspicabile. Il processo porterà anche alla pace? Probabilmente no, ma questo al limite è meno importante. Importante è che non se ne dia sempre tutta la colpa a Israele.

Da: Yediot Aharonot

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