Kosovo: Missione di pace ma anche una lezione di fede da apprendere

Il Kosovo del Nord torna a bruciare. Da una parte l’esercito serbo è in stato d’allerta, dall’altro i reparti speciali della polizia kosovara accorrono a presidiare un confine da cui non entra e non esce più nessuno da giorni. Nel mezzo, barricate, blocchi stradali, scambi di accuse, alternati a inviti alla calma puntualmente disattesi.

La tensione continua a salire. Venerdì notte a Zubin Potok, cittadina di quella terra di nessuno a maggioranza serba che è il Kosovo del Nord, il centro di registrazione dei veicoli è stato divorato dalle fiamme da un incendio che secondo le autorità kosovare, sarebbe di natura dolosa. È l’ultimo capitolo della «guerra delle targhe» scoppiata lunedì scorso a seguito della decisione di Pristina di impedire l’accesso sul territorio ai veicoli con targa serba, imponendo l’uso di una targa provvisoria, recante la dicitura RKS, Repubblica del Kosovo, al costo di 5 euro e con validità di due mesi.

Una provocazione in violazione degli accordi di Bruxelles, accusa Belgrado, che chiede all’Ue di fare chiarezza sull’esistenza o meno degli obblighi derivanti dall’intesa. Nessuna violazione, ma una risposta a un analogo obbligo per i veicoli kosovari che entrano in Serbia, è la replica di Pristina, determinata a far valere un principio di reciprocità nei rapporti con la Serbia che, di fatto, sottende a un riconoscimento da parte di Belgrado dell’ex provincia serba, dichiaratasi unilateralmente indipendente nel 2008.

E mentre gli aerei della missione Nato (Kfor) tornano a sorvolare i cieli del Kosovo del Nord, i nostri Carabinieri con l’Operazione Kosovo Kfor –attualmente a guida italiana, sotto il comando del Generale di Divisione Franco Federici –nel contesto della missione NATO Joint Enterprise, svolgono un ruolo di garanzia per la pace e la stabilità di queste provincie.

Ma oggi non vogliamo parlarvi di guerra ma di un episodio di evangelizzazione che ha visto come protagonisti due carabinieri in servizio in Kosovo. Mentre si sospettava ci fosse un caso di positività da covid, Rosario e Ciro si sono ritrovati precauzionalmente 3 giorni in quarantena… durante questi giorni Rosario ha iniziato a parlare di Gesù. La conversazione è avvenuta in modo molto naturale, mentre Ciro si mostrava incuriosito di quella nuova verità raccontata da Rosario, a tal punto che lui continuava a fare domande su domande mentre Rosario, guidato dalla presenza del Signore, parlava della parola di Dio come se non avesse fatto mai.

La motivazione a evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere soprattutto in un momento particolare come quello in cui Rosario e Ciro si sono ritrovati… a un migliaio di chilometri da casa e in una situazione in cui non si sapeva se c’era o no contagio da Covid; i due ragazzi si sono ritrovati insieme sotto un solo Capo!

Noi crediamo che nulla succeda a caso, anzi, crediamo fermamente che nel caso di falsa positività che a permesso a Rosario di ritrovarsi solo con Ciro ci sia la mano di Dio; Lui ha permesso che ciò accadesse. Ciro ne uscì visibilmente estasiato da questa meravigliosa esperienza, a tal punto di chiamare la moglie e iniziandogli a parlare di Gesù e di come il messaggio di salvezza di Rosario avesse toccato le corde del suo cuore. Ciro e la compagna hanno deciso, appena lui sarà ritornato dalla missione di battezzarsi e di accettare Gesù come loro personale salvatore.

Il carabiniere ha richiesto una condizione essenziale… che Rosario e la moglie siano presenti a questo meraviglioso evento che molto probabilmente si svolgerà a Milano presso la chiesa evangelica del Pastore Abramo Chinnici appena la missione in Kosovo per i due colleghi sarà finita.  Confidiamo che questo evento certamente sarà per entrambi l’inizio di una nuova missione celeste!

Piter Proietto

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