Un gruppo di ong ha promosso incontri, forum e discussioni on-line per promuovere una “corretta informazione” sulla vicenda. Tuttavia, si tratta di una “lotta in salita” perché la maggior parte dei malay ha una visione rigida e schematica dell’islam. La sfida è “educare le masse” e favorire la libertà religiosa.
Kuala Lumpur – I cristiani malaysiani non sono soli nella loro battaglia per l’uso della parola “Allah” per definire il Dio cristiano, finita anche nelle aule di tribunale con alterne fortune. Essi possono contare sul sostegno di un gruppo di organizzazioni non governative musulmane. Obiettivo dell’iniziativa lanciata di recente dalle Ong è sensibilizzare la popolazione locale malay, circa il fatto che la parola – e il suo utilizzo – precedono la nascita dell’islam; essa non essere quando appannaggio esclusivo della maggioranza musulmana nel Paese asiatico. Realtà come le Sister in Islam (Sis) e il Fronte di rinascita islamica (Irf) hanno promosso iniziative sui social network per favorire una corretta informazione sulla vicenda, bel lontana dall’ideologia e dalla propaganda politica del governo e di movimenti estremisti.
La campagna dei gruppi musulmani moderati giunge in un periodo delicato per la storia della comunità cristiana in Malaysia, da tempo vittima di attacchi mirati che hanno portato al rogo di chiese, alla profanazione di tombe cristiane e alsequestro di 300 Bibbie nel gennaio scorso. Dietro le violenze, lo scontro sull’uso della parola “Allah” per definire il Dio cristiano, che da annosa battaglia legale fra il governo di Kuala Lumpur e il settimanale cristiano Herald Malaysia – il 23 giugno scorso l’Alta corte ha respinto il ricorso dei cristiani – si è trasformata ormai in una controversia nazionale.
Suri Kempe, responsabile dei programmi di Sis, riferisce a The Malaysian Insiderche “c’è stata una levata di scudi contro la decisione del tribunale federale” in merito alla vicenda Allah. Il movimento ha usato anche internet e social network “come piattaforma per la discussione”, un elemento essenziale “per la gente, perché possa capire il problema” e “formarsi una propria opinione” in materia.
Gli fa eco Ahmad Farouk Musa, capo dell’Irf, secondo cui il sostegno e gli sforzi messi in campo dai movimenti musulmani a sostegno del diritto della Chiesa di usare la parola “Allah” è una lotta tutta in salita. La maggior parte dei musulmani malaysiani, aggiunge, ha ricevuto fin da giovane un insegnamento letterale e rigido dell’islam, senza sforzo alcuno per una interpretazione intellettuale o una esegesi del testo.
In generale la visione della religione fra i malaysiani, prosegue il leader musulmano moderato, è “ortodossa e convenzionale”, non si vuole comprendere che il testo “va adattato al 21mo secolo”. I gruppi moderati hanno organizzato forum e tavole rotonde per favorire una discussione, ma il successo di questi incontri è “limitato” e il loro impatto “limitato alle realtà urbane” più avanzate. “Ma la sfida – conclude Ahmad Farouk Musa – è educare le masse”.
In Malaysia, nazione di oltre 28 milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall’inizio, il termine “Allah” era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale. Su una popolazione di oltre 11 milioni di persone, i cristiano di Kuala Lumpur sono oltre 180mila; i sacerdoti sono 55, i religiosi 154, mentre vi è un solo diacono permanente.
Tratto da: http://www.asianews.it/
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