La bilancia del dialogo

È opinione di molti, l’unico modo credibile per proclamare è “la testimonianza mite del Cristo in noi e dimostrare come tale testimonianza cambia tutto”. Di sicuro, pochi si opporrebbero al fatto che dobbiamo essere testimoni del Cristo in noi. Ma è solo questo tutto ciò che dobbiamo fare?

Spesso, secondo gli interlocutori musulmani, ad esempio, questa modalità dimostra la nostra testimonianza inefficace e corrotta, convalidata per giunta da una Scrittura ancora più corrotta. Essi considerano come “femminile” la testimonianza dei “cristiani” in Occidente rispetto alla “maschile” testimonianza vigorosa, fiera e impavida dell’Islam.

Una delle principali ragioni che della gente in Europa e in Italia si converta all’Islam è per l’ammirazione che suscitano le loro forti convinzioni, spesso provenendo da ambienti religiosi. Sono numerosi i musulmani che usano più efficacemente “l’evangelizzazione” dell’amicizia di quanto non facciamo noi.

Alcuni hanno messo in discussione l’apologetica che io e altri stiamo usando in Italia per evangelizzare i musulmani. Alcuni affermano che è sbagliato, forse anche pericoloso dimostrare la nostra convinzione di fede. Inoltre, dicono che è dannoso per il Vangelo perché “non onora Dio e non chiama le persone alla fede in Gesù Cristo”.

Queste persone temono che questi metodi mettano l’uno contro l’altro piuttosto che contribuire alla comunicazione dialogica, non cercando di dirigere l’altro, il che porta a innalzare i muri della diffidenza ancora più in alto tra le due comunità.

Una via più probabile, dicono altri, è il dialogo definito come un esercizio in cui due parti opposte si incontrano e discutono le loro differenze in un’atmosfera di cordialità e comprensione reciproca, con la speranza che poi si giunga a un consenso. Probabilmente sono in molti ad essere d’accordo con questa premessa. Nel caso dei musulmani però è raro che rinuncino ad attaccare la nostra Bibbia e la signoria di Cristo.

Ridefinizione di dialogo

Potrebbe prima essere utile esaminare cosa intendiamo per dialogo. Nel libro degli Atti, l’apostolo Paolo ha usato più volte la parola “dialogo” e l’ha esemplificata nella sua metodologia. Egli andò prima dagli Ebrei, entrò nelle sinagoghe, dove si impegnò nel dialogo, che si traduce “pensare cose diverse, riflettere, e poi discutere”

Il presupposto di Paolo del dialogo non era tanto di apprendere semplicemente dagli altri, e da lì di sottacere le sue convinzioni per sviluppare ulteriormente un altro insieme di convinzioni. Paolo ben sapeva che questo porterebbe a una condizione di sincretismo.

Esercitando il dialogo non si limitò ad una semplice tranquilla comunicazione, secondo la definizione di molti missiologi moderni.

Voleva piuttosto dimostrare ai suoi interlocutori ciò che afferma dalle Scritture (Atti 17,3). A sostegno della Verità, Paolo ha presentato le argomentazioni, successivamente ha fornito le prove adoperandosi per sostenere il suo caso.

Con questo non intendiamo un comportamento bellicoso, maleducato o aggressivo. Gli argomenti possono sorgere e sorgeranno ogni volta che c’è una divergenza di opinioni. Un comportamento aggressivo entra in gioco ogni volta che una parte è a corto di buone idee. Se gli argomenti sono deboli, scaturisce naturale divenire coinvolti e forse, perché no, un pò concitati. Ci stà!! Siamo pronti tutti a concitarci per cose venali, per una gara di moto, di auto, per commentare una partita o per una discussione politica…allora tanto più dovremmo appassionarci nel proclamare con chi ci chiede ragione della nostra fede in Cristo! (1Pietro 3:15-17).

Quindi dobbiamo assicurarci che gli argomenti a sostegno della Verità non siano deboli. Come disse Paolo: “Quello che dico è vero e ragionevole” (Atti 26,25).

Il proposito di Paolo non era di convertire i suoi ascoltatori, ma di essere persuasivo (Atti 17:4).

La sua missione era quella di persuaderli della verità del Vangelo. Allora quello che poi facevano con quella verità diventava una loro responsabilità.

Dovremmo usare tale definizione ‘Paolina’ per il dialogo fra i musulmani? La nostra intenzione principale è ed è sempre stata la difesa del Vangelo (apologetica), nonché la predicazione di Cristo crocifisso. Il Corano tanto citato dai musulmani per noi non è parola di Do e Maometto non è un profeta, almeno non lo é dalla prospettiva biblica. Questo non significa che la Verità della Buon Notizia non debba essere mai umiliante. Ad esempio, la percezione di sconfitta avvertita dai musulmani oggigiorno ha poco a che fare con la mia tattica, piuttosto invece è legata al contenuto stesso del Vangelo. Se quanto diciamo della Bibbia è vero, allora non disonora Dio quando lo affermiamo, sebbene possa offendere le persone a cui è diretta. Questo però è inevitabile, come dice la Scrittura.

Cristo stesso ha umiliato pubblicamente i suoi oppositori e screditato gli elementi della loro fede. Nel Vangelo di Matteo 23:13-33 definisce i farisei “ipocriti, guide cieche, serpenti e una nidiata di vipere! Non diremmo che ha umiliato anche i cambiavalute in Luca 19:45? Proprio a causa di tali atti gli stessi capi degli ebrei cercarono di ucciderlo (Luca 19:47). Come mai, allora, veniamo bersagliati per parlare della croce con franchezza??

Questo vecchio modello della conversazione dialogica mi è stato insegnato 30 anni fa da persone che avevano creato la loro missiologia come missionari nei territori islamici. Per decine di anni Sono stati missionari nell’ambiente ostile del mondo musulmano. Nel mondo islamico non si può criticare il Corano, né il profeta, né ci si ritrova sul prossimo aereo per tornare a casa, è comprensibile là. Questi missionari tornano a casa con gli stessi principi e strategie missiologiche adottate per precauzione in quegli ambienti ostili, non riuscendo ad adattarsi alla libertà di parola, dopo lunghi anni trascorsi in quei territori ostili. Di conseguenza, questi loro principi adottati nel mondo islamico hanno impregnato l’insegnamento di questa dottrina missiologica giunta nelle nostre chiese di oggi e hanno influenzato, nel frattempo, tutti noi, quando in Occidente abbiamo diritto di espressione e libertà di confessare il nostro credo tanto quanto lo hanno i nostri opponenti musulmani. Questo è un grave ossimoro di alcuni di noi!

Eppure, L’Italia e l’Europa non sono ambienti ostili. Non c’è nemmeno bisogno di proteggere noi stessi o il nostro ministero dalle autorità civili o religiose come se ci trovassimo nei paesi islamici.

La battaglia delle anime è molto più grande che semplicemente attrarre i nostri vicini nella gentilezza con la tazza di thé. Si tratta di una battaglia delle anime che ha a che fare con la Verità. Riguarda se il Creatore ha comunicato la sua rivelazione alla sua creazione, e se possiamo conoscere e riconoscere la differenza tra la verità da Lui comunicata e quella che è una pagliacciata /contraffatta.

Francesco Maggio

Direttore Ministero Islamecom

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