Di Cristian Nani, direttore di Porte Aperte in Italia
Il mondo attorno a noi celebra il Natale, dandone i significati più disparati, alcuni ridicoli e offensivi. Nel mio piano di lettura della Bibbia mi è toccato proprio Matteo 1, con lo stupendo resoconto della nascita di Gesù. Quanta fragilità! Una quasi-famiglia in bilico.
Abbiamo una Maria sopraffatta da un evento soprannaturale, al quale si prostra andando incontro a un destino più grande di lei e a un marito che “chissà come la prenderà”: mi parla molto di tutte le volte che presento un Dio addomesticato, molto terreno, con la freddezza di uno scienziato o, peggio, di un coroner che disseziona la Sua Parola come un cadavere, invece che con lo stupore del poeta innamorato di Qualcuno che è vivente, come la Sua Parola lo è.
Abbiamo un Giuseppe che infrange la Legge (sapendo cosa dovrebbe fare con una donna apparentemente “adultera”), non divorziando da Maria (come la Legge richiederebbe di fare), ma si attiene a un sogno, prova intangibile di un avvenimento divino: mi parla molto di tutte le volte che mi scopro un cristiano legalista, quando, fin dal suo “inizio”, nel Cristianesimo abbiamo un uomo che infrange la legge per proteggere la dignità della donna che ama e rispondere sì a una superiore illuminazione.
E poi abbiamo chiaramente una coppia di “senzatetto” e presto rifugiati o immigrati nella loro fuga in Egitto poco dopo la nascita di Gesù (Matteo 2:13-15): mi parla di come spesso “si cerchi Dio nei luoghi sbagliati”, se me lo concedete, ossia in luoghi puliti e sicuri, in persone presentabili e affabili, mentre nei Vangeli, Gesù, Maria e Giuseppe non appaiono esattamente così. E allora, forse, la ragione per cui la nostra conoscenza di Dio è così limitata è perché abbiamo cercato Dio in luoghi (fisici e dell’anima) che consideriamo decorosi e ordinati, mentre Dio sembra sorprenderci spesso scegliendo l’ordinario e il disordinato, l’ultimo e il dimenticato. Tutto in quel primo capitolo di Matteo odora di drammatica frangibilità.
La Chiesa perseguitata è una mangiatoia su cui il Cristo riposa. Lo dico perché i miei occhi hanno visto, le mie orecchie hanno udito. Il RE dei re vince apertamente da quelle parti. E dalle nostre?
Stare al fianco dei perseguitati è un esercizio che ci avvicina a Dio, poiché questa parte del corpo di Cristo è fragile, sporca, disordinata, sola contro tutto, in fuga terrena, fuorilegge e appesa al soprannaturale: sembra il luogo migliore dove a Dio piace “mostrarsi”.
Lo dico sempre: hanno bisogno di noi. Abbiamo bisogno di loro.
Siamo un corpo.
https://www.fedepericolosa.org/la-chiesa-perseguitata-e-una-mangiatoia-su-cui-il-cristo-riposa/
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