La maternità è una maratona

00Ho sempre voluto fare grandi cose per Dio.

Nella primavera del mio ultimo anno all’università, sull’orlo d’intraprendere il mio viaggio verso l’età adulta, il mio futuro era incerto, spaventoso ed appassionante. In qualità di specializzanda in filosofia, il mio percorso di studio era più ridotto di quanto avessi immaginato, ma ero sicura che mi avrebbe portato a qualche grande e gloriosa avventura.

Sapevo bene che lo scopo principale dell’uomo è di glorificare Dio e godere sempre della Sua presenza. “Glorificare” sembra una parola così grossa. Infatti richiama alla mente immagini come sacrifici sul campo di battaglia o di tagliare il traguardo alla maratona. Così ho pensato che avrei dovuto fare cose spettacolari per Dio.
Tuttavia dopo qualche anno mi rendo conto che non le ho fatte e non le sto facendo. Devo invece fare piccole cose ordinarie per Dio e questo, per quanto possa sembrare strano, è molto più difficile.

La regolarità e la ripetitività dei miei giorni mi fanno quasi impazzire.

Come mamma a tempo pieno la cosa più avventurosa e degna di nota che faccio è organizzarmi per uscire con i piccoli. La regolarità e la ripetitività dei miei giorni mi fanno quasi impazzire. Preparare i pasti, pulire, cambiare pannolini, sistemare giocattoli e poi svegliarmi per ricominciare tutto da capo. Posso davvero stancarmi di questa monotonia: l’invariabilità dei miei compiti, i piatti che ho lavato infinite volte, la biancheria che ero sicura di aver appena piegato, il pavimento che non sembra mai restare pulito. Salomone parla di “vanità delle vanità” (Ecclesiaste 1:2) e a volte mi chiedo se avesse avuto in mente i lavori domestici! In ogni caso posso certamente capire cosa intendesse per “Tutte le cose richiedono fatica” (Ecclesiaste 1:8).
Posso chiedermi, come Salomone, qual è lo scopo di tutto questo?

Vivere veramente, morire quotidianamente

Mi ero appena sposata quando frequentavo il mio primo e ultimo semestre di specializzazione e stavo cercando di soddisfare la voglia che avevo di fare qualcosa per me stessa e vivere al pieno delle mie potenzialità, quando Dio orientò il mio cuore verso la famiglia e verso la vocazione alla maternità.
Anche l’espressione “vocazione” suona come un’altra grande parola, ma per il cristiano ha un significato più umile. Ognuno di noi è chiamato a morire a se stesso. Gesù disse ai suoi discepoli: “L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’esser glorificato” (Giovanni 12:23). Ma ciò che accade successivamente non è ciò che ci saremmo aspettati, qualcosa che non sembra affatto così glorioso.

“In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (Giovanni 12:24).

 

Gesù ci sta dicendo che la morte è il percorso che porta alla vita e l’umiltà è il percorso che porta alla gloria. Questo è il percorso che Cristo fece affinché noi potessimo seguirLo.

Le madri cambiano il mondo

Quando decisi di dedicarmi alla vocazione della maternità, fu perché volevo cambiare il mondo.
A quel tempo pensavo che se volevo avere un impatto per il regno di Dio, facendo qualcosa di realmente grandioso, allora avrei dovuto impiegare la mia vita non ricercando il mio successo personale o la mia fama, ma crescere la nuova generazione per essere delle luci in questo mondo oscuro. Se davvero volevo fare qualcosa mi sarei data per tutti – non solo con la fatica fisica, ma spiritualmente.

Questa è proprio la vocazione alla maternità: cadere a terra e morire, così da poter produrre molto frutto! Questa è la visione gloriosa che sta sotto tutta la monotonia esistente. L’unico problema è che questo è quasi impercettibile da scorgere tra la fitta quotidianità e le moltitudini di lavori banali e umili.

Nelle fatiche quotidiane come madri abbiamo a che fare con la maledizione e la redenzione, sospese tra il già e il non ancora. Attraverso il peccato, tutte le cose sono soggette al decadimento ma attraverso Cristo, tutte le cose sono in fase di restauro (Romani 8:18-30).

Per vivere davvero spiritualmente una vita che glorifichi Dio dobbiamo ogni giorno ripristinare la santità di ciò che la caduta ha reso maledetto, incluso il duro lavoro delle fatiche quotidiane e il doloroso e faticoso compito della gravidanza e dell’educazione dei figli. Niente nelle nostre vite è secolare o fine a se stesso ora. Tutta la terra che calpestiamo è santa, tutti i lavori in cui mettiamo le mani sono santi finché viviamo e lavoriamo per la gloria di Dio.

Questa è proprio la vocazione alla maternità: cadere a terra e morire, così da poter produrre molto frutto!

Non è uno sprint

Il problema è che non lo percepiamo sempre come santo e certamente non sembra santo.

Sembra così crudo, grezzo e confuso, ma siamo anche quelli che camminano per fede e non per visione (2 Corinzi 5:7). La maternità è una maratona, non uno sprint. Il traguardo è lontano e i frutti del nostro lavoro tardano ad arrivare. Prima di noi ci sono i piccoli che sono così indifesi, così bisognosi, così concentrati su sé stessi che è difficile immaginarli come qualcosa di diverso. Ma se possiamo immaginare gli uomini e donne di Dio che un giorno, per grazia di Dio, potrebbero diventare – il tipo di uomini e donne di cui questo mondo ha disperatamente bisogno – se possiamo aggrapparci fermamente e disperatamente a questa visione, allora ricorderemo il grande scopo dietro ai sacrifici di ogni giorno.

Allora ci ricorderemo che stiamo combattendo per uno scopo, lavorando in casa così che sia un luogo dove i nostri bambini possano incontrare Gesù.

Noi perseveriamo nel nostro lavoro spesso monotono così da poter creare un luogo di pace, di amore, di grazia – un terreno fertile per il rinnovamento delle anime preziose che Dio ci ha affidato.

Questo è il nostro grande e glorioso compito evangelico che si manifesta in cose piccole e modi umili.

La maternità è una maratona, non uno sprint.

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